Tra tutte la parole passate alla storia quella di Cambronne è certamente la più pronunciata: superfluo richiamarne il contenuto, la usiamo tutti i giorni come “imprecazione tipo”.
All’opposto sta la famosa risposta di Garibaldi: “obbedisco”.
Capita infatti di sentirla ripetere raramente in un mondo dove la maggior parte delle persone è più portata a comandare che a chinare il capo.

Ma sono molte le celebri espressioni che usiamo nelle metafore ricorrenti della vita quotidiana: parole, frasi e battute già pronte che calzano a pennello con le mutevoli vicende dell’esistenza.
La “storia” può essere utilmente declinata nella cronaca aggiornata, ci sono sempre esempi che tornano utili.

A cominciare dal “conosci te stesso”, consiglio spendibile per chi è più portato a ficcare il naso nelle cose altrui piuttosto che a scrutare nei meandri della propria anima.
“Passare il Rubicone” andrebbe bene per chi deve prendere una decisione ma anche per chi vuol cambiare casacca, per gli incerti dell’ultima ora va forse meglio “il dado è tratto”: a cose fatte bisogna di buon grado scendere in campo.
Quanto al mitico “lei non sa chi sono io” valga la risposta data da Leopardi: “all’apparir del vero tu misera cadesti”. Come dire che è sempre meglio non ostentare la propria vera identità.

Il “dagli all’untore” di manzoniana memoria non ha bisogno di ulteriori accreditamenti sociali, è infatti l’occupazione prevalente nelle diatribe nazional-popolari, disvela proprio un’attitudine innata.
Per rimanere con lo stesso autore il celebre “adelante pedro, si puedes, con iuycio” sarebbe da consigliare ai rampanti e ai manager in carriera, una genia che non conosce mai estinzione.
Anche il dantesco “più che l’amor potè il digiuno” ci offre la chiave di lettura per spiegare indicibili passioni e vocazioni folgoranti.

Nel loro genere “mala tempora currunt” e “homo homini lupus” ci ricordano quanto siamo ancora debitori alla nostra lingua madre rispetto ad una cruda verità: anche oggi i tempi sono calamitosi e ci si azzanna con cattiveria, ululando alle stelle.
L’invidia non conosce tramonto, come diceva Ernest Hemingway gli uomini sono talmente pieni di amor proprio da non sopportare che la gente sia felice.

Persino le brutte notizie non sono mai sole: forse per questo Woody Allen aveva concluso “prima di andar via vorrei lasciarvi un messaggio positivo ma non ce l’ho. Fa lo stesso se ve ne lascio due negativi?”.
A proposito di messaggi, ricordo un vecchio insegnante che aveva scritto alla lavagna “c’est l’argent qui fait la guerre”, che tradotto in soldoni vuol proprio dire che nelle battaglie decisive il denaro risulta determinante.

Non c’è bisogno di ritornare scolari per apprendere quell’amara lezione: vivendo in un mondo di prevalenti interessi materiali, in questo campo cerchiamo sempre di essere promossi.
John F. Kennedy , parlando di se stesso affermava “sono un idealista privo di illusioni”: a questo principio ha poi pagato un tributo sproporzionato e non mi pare che questa eredità morale sia stata raccolta con entusiasmo, visto che di buon grado i suoi successori si sono abituati a fare di necessità virtù.
Le più aggiornate regole dello spoil system legittimano il proclama di Carlo V – “Estad todos caballeros”- e non è poco visto che tutti sono alla perenne ricerca di una promozione.

Per rimanere nel frivolo anche la Gradisca ci ricorda che certi omaggi sono sempre apprezzati, specie dai regnanti di turno.
Ma il detto più attuale di questa veloce rivisitazione è forse “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”: è infatti trascorso più di un secolo da questo laconico aforisma di Massimo D’Azeglio ma il compitino mi sembra ancora da terminare.
Oddio: in tutto questo tempo abbiamo fatto davvero gli “italiani” ma forse si intendeva un’altra cosa.