Di Battista va in Russia, Di Maio va al centro, Conte resta con il cerino in mano.

 

Colpisce l’evoluzione imprevedibile e felice del Ministro degli Esteri. Risulta quasi un perfetto doroteo: il suo futuro è verso il centro, ha l’abilità per ritagliarsi uno spazio e intrecciare interlocuzioni. L’idea del campo largo è l’apoteosi  della confusione politica ma farà posto a molti agricoltori che vi coltiveranno il proprio orticello. Abiurando la demagogia e l’oltranzismo rivoluzionario del passato lascia per strada morti e feriti: in sostanze, tutte le politiche del M5S.

 

Francesco Provinciali

 

Acque alte e nodi al pettine nei 5 stelle. Forse l’unico che si capacita – senza dirlo- dello sconquasso che fa deflagrare il Movimento è il suo fondatore Beppe Grillo. Casaleggio jr. è ormai un corpo estraneo da tempo, i gioielli di famiglia intanto prendono strade diverse. Alessandro Di Battista – dopo esser stato a lungo in Sudamerica – ora va in Russia, dice che se la vuole girare proprio tutta: penso che sarà un’esperienza gratificante, la motivazione è quella di conoscere una realtà di cui finora ha solo parlato, l’intendimento è di accreditarla politicamente per avere argomenti da utilizzare nella lotta alla NATO, all’atlantismo, alla cultura occidentale. Parte, ma come nel titolo di una canzone di Califano… “non esclude il ritorno”.

 

Chi proprio fa le valigie e trasmigra creando il nuovo soggetto politico “Insieme per il futuro” è Luigi Di Maio e lo fa giocando di anticipo prima di essere cacciato, portando con sé una cinquantina di parlamentari. Nel discorso di commiato e di progetto Gigino confuta tutto ciò che lo aveva accreditato come il grillino di opposizione: il parlamento aperto come la scatola di sardine, l’uno vale uno, la piattaforma Rousseau, il feeling con i gilet gialli e la richiesta di impeachment di Mattarella.

 

L’esperienza di Governo lo ha maturato, ha stemperato gli oltranzismi e le velleità giacobine, adesso è tutta un’altra persona ed oggettivamente – al netto del limite del doppio mandato che se fosse rimasto nei 5S lo avrebbe escluso dalle elezioni del 2023 – gli va riconosciuto di aver compiuto un percorso di radicamento nelle istituzioni, di lealtà verso il governo di cui fa parte, di fedeltà a Mario Draghi, di accreditamento verso una concezione mite e moderata della politica: il suo discorso di investitura è la più dura lezione politica per l’egocentrismo di Conte e lo Zarismo di Grillo, le sue parole hanno scoperchiato (con l’autorevolezza della carica ministeriale e la credibilità che merita chi ha compiuto un convinto cammino di ripensamento e redenzione) l’inconsistenza politica del grillismo riducendola ad un miserevole “vaffa” ora rinnegato e marginalizzando Conte (che lui aveva messo in sella) nel nulla assoluto. Come dice Sansonetti, qualcosa di cui si parla ma che non esiste. Nell’addio di Di Maio c’è di tutto: l’incompatibilità ideologica con il Movimento e quella personale con Conte che non ha mai digerito l’estromissione da Palazzo Chigi e vede nemici e traditori dappertutto.

 

Ora Di Maio è quasi un perfetto doroteo: il suo futuro è verso il centro, ha l’abilità per ritagliarsi uno spazio e intrecciare interlocuzioni. L’idea del campo largo è l’apoteosi  della confusione politica ma farà posto a molti agricoltori che vi coltiveranno il proprio orticello. Abiurando la demagogia e l’oltranzismo rivoluzionario del passato lascia per strada morti e feriti: il reddito di cittadinanza (un fallimento nel creare lavoro e nel vincere la povertà, ormai reso sistema: se l’Italia è il Paese dei bonus, delle mance  e delle regalie siamo sulla buona strada ), il Memorandum della via della seta che – non bastasse la minaccia russa – porta la Cina nel ventre molle dell’Europa, il taglio dei parlamentari che si rivelerà la ghigliottina della democrazia e la consegna della politica ai partiti personali e ai capi bastone che decideranno a tavolino i deputati e i senatori da portare con sé. L’importante è esserci. Navigare necesse est, vivere non est necesse.