Nel giorno in cui Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore di Facebook (che comprende Instagram e Whatsapp) , Jeff Bezos, suo pari in Amazon, Tim Cook, amministratore delegato di Apple e Sundar Pichai che da cinque anni guida Google – in pratica gli uomini più potenti del mondo che gestiscono un capitale complessivo di 5 triliardi di dollari –  compaiono in videoconferenza  davanti al Congresso degli Stati Uniti per rispondere alle domande dei parlamentari sullo strapotere dilagante, i molti lati oscuri del digitale e le presunte minacce alla democrazia, alla trasparenza e al trattamento dei dati personali dei cittadini, una notizia in parallelo ci giunge da “Il Punto” del  Corriere della Sera, con un articolo di Guido Santevecchi.

Secondo il Magazine gli hacker cinesi hanno perforato l’invulnerabilità del Vaticano servendosi di un trojan inserito una lettera (vera) del Segretario di Stato della Santa Sede Card. Parolin: sarebbe accaduto a maggio, in occasione di trattative diplomatiche tra i due Stati sulle nomine dei vescovi cinesi. Per quanto riportato da Il Punto e attribuito alla Società di monitoraggio americana Recorded Future che ne ha anticipato il contenuto al New York Times, un malware sarebbe stato introdotto da un gruppo cinese denominato RedDelta in una lettera di condoglianze per la morte di un vescovo inviata da Parolin alla Holy See Study Mission di Hong Kong, che agisce da agenzia di collegamento tra il Vaticano e le 33 province della Repubblica Popolare cinese, per tenere i contatti con le sedi apostoliche in quel paese. 

Sommando le due notizie – quella americana e quella cinese – qualche riflessione dovrebbe scaturire tra gli strenui difensori della digitalizzazione come processo irreversibile di emancipazione e di democrazia.

Mentre i 4 grandi di Facebook, Apple, Google e Amazon esporranno strategie e risposte ai quesiti loro posti in pubblica audizione, il Ministro degli esteri cinese da Pechino si affretta a smentire le illazioni che riguardano la spy-story del Vaticano, affermando che la Cina “è un fermo difensore della cybersicurezza” e che prima di formulare accuse bisognerebbe avere “ampie prove invece di semplici congetture”.

Una strategia difensiva già dispiegata in risposta alle accuse di una parte del mondo occidentale (in particolare da USA e Regno Unito ma non dalla Germania – che è il partner principale nel commercio con Pechino – e non dall’Italia, che ha sottoscritto a marzo 2019 il Memorandum della “Via della seta” con il Governo cinese) in occasione della diffusione pandemica del Covid 19, che vanno dalla mancata informazione al mondo dell’incipit virale di Wuhan con il silenzio dell’OMS (da cui gli USA si sono dimessi) ad accuse di complotti e virus generati in laboratorio, come arma letale di una strategia espansiva globale.

Si tratta – lo possiamo ben capire – di tematiche che ci ricordano i film di spionaggio e fantascienza delle quali il semplice cittadino prende atto, in un coacervo di affermazioni e di smentite, con angoscia e paura.

Sommessamente aggiungerei una notizia che risale all’autunno scorso e che riguarda la fornitura di cellulari cinesi al nostro Ministero della Difesa che li aveva immediatamente sostituiti con altra dotazione, nel dubbio, nel sospetto o nella certezza che fossero taroccati per trasmettere dati e segreti militari dalla nostre inconsapevoli Forze armate al Paese fornitore: notizia durata un giorno sui quotidiani e mai più ripresa. Certamente la fine della globalizzazione sostituita dalla tenaglia USA-Cina non contribuisce a rasserenare il clima delle relazioni internazionali: si ha la parvenza di una escalation che il mondo del digitale può favorire: molto di quanto accade passa sopra le nostre teste e si ha l’impressione che si tratti di qualcosa di talmente grosso e pervasivo da condizionare i destini del pianeta.

Uno dei motivi per cui l’U.E. ha trovato un faticoso accordo sul Recovery Fund è proprio quello di ricompattare strategie comunitarie che ci evitino di rimanere isolati economicamente dal mondo o di essere stritolati in questa ganascia letale tra le due superpotenze.

Ai fautori del digitale ‘costi-quel-che-costi’ va ricordato che può essere un grande passo avanti per l’umanità, in tema di lavoro, salute, comunicazione, formazione, energie rinnovabili e strategie green.

Viceversa potrebbe diventare un’arma strumentale, gestita da pochi, con finalità ben diverse da quelle conclamate e interessi egemonici per guerre stellari, dove la scienza, privata di una base etica, può orientare i destini del pianeta, obnubilare le coscienze e sostituire il reale con il virtuale, la mente con le macchine, mistificando come progresso alimentato con innegabili vantaggi la fine della nostra capacità critica e della stessa libertà. Un “paese dei balocchi” in 5G dove non ci divertiremmo affatto.