In questo tempo che sembra impazzito, l’unico vero leader globale è Papa Francesco.
Durante la Messa in Santa Marta, ha detto due cose dal sapore di una profezia che guarda lontano. E che ha molto a che vedere con il futuro della nostra democrazia.
Ci ha richiamati, in primo luogo, a non pensare solo a noi, alle nostre oggettive difficoltà di queste settimane, ma anche a chi sta peggio di noi. A chi deve affrontare questa questa emergenza sanitaria senza il riparo di una casa, di una rete protettiva, di uno Stato del quale si possa sentire cittadino.

In secondo luogo, ci ha esortato a pregare per i “governanti” che devono essere sorretti “dalla preghiera del popolo” mentre sono chiamati ad assumere decisioni dure e difficili.
Nella disarmante essenzialità del linguaggio, Francesco indica così le due vere sfide per il futuro, che il Coronavirus rende ancora più stringenti e micidiali, ma che da tempo ormai sono poste sul sentiero della nostra democrazia.

La prima è quella della nostra capacità di coltivare i valori di umanità e solidarietà.
La storia ci insegna che non sono acquisiti una volta per sempre. Richiedono una costante educazione personale e collettiva ed una attitudine a coniugarli nelle mutevoli condizioni del tempo che ci è dato di vivere.

Non è facile nei momenti di crisi. Ciò non di meno, è la vera scommessa che abbiamo tutti di fronte, se non vogliamo che la giusta misura del confino nelle nostre case sia emblema di un confino interiore nelle nostre paure e nelle nostre pretese egoistiche.
La seconda profezia è racchiusa nella esortazione a pregare per i “governanti”.
C’è qualcosa di molto profondo in questa esortazione. C’è, in realtà, la premessa per una rifondazione della nostra democrazia, oggi in evidente crisi di senso e di carisma.
Nelle parole del Papa si legge una concezione oggi piuttosto desueta del rapporto tra “popolo” e “governanti”.

Una concezione che va ben oltre le due tendenze che si stanno consolidando: quella della indifferenza ostile verso la “casta” e quella di un rapporto puramente fideistico con il “proprio leader”, oppure contrattuale e conformista con il Potere di turno.
Traspaiono una radice “morale” ed un “respiro religioso” (nel senso più autentico, non confessionale) della funzione del “governante”, che richiama alla memoria la figura biblica di Re Salomone.

Il Coronavirus è una sorta di stress test per le nostre società. Non è il primo e non sarà l’ultimo.
Per superarlo servono tante cose. Certo servono poteri pubblici sovranazionali e massicci (e costanti) investimenti in conoscenza e sistemi di welfare.
Ma è uno stress test anche per le nostre democrazie, già indebolite dai fenomeni antropologici, economici, tecnologici e sociali che hanno cambiato radicalmente i paradigmi consolidati del Novecento.

Papa Francesco ci indica una duplice via. Ricostruire i legami di solidarietà comunitaria e riscoprire la natura morale (e non solo funzionale) del rapporto tra il popolo e i governanti.
C’è di che riflettere, sia da parte del popolo, che da parte dei governanti.