A Benevento s’è registrato l’exploit di Clemente Mastella, vittorioso contro il blocco di centrosinistra e quello di centrodestra. Qualcosa si muove al centro. Certo, è indispensabile individuare la figura di un “federatore” capace di unire le varie sensibilità culturali, politiche ed ideali che non si riconoscono più negli “opposti estremismi”.

Dopo i ballottaggi, come ben sapevamo già sin dalla vigilia, si apre una nuova stagione per la politica italiana. Una fase che, inevitabilmente, sarà caratterizzata dal ritorno di una forza – o meglio di una “federazione” – di “centro”. L’ha spiegato, con semplicità ma con chiarezza il neo Sindaco di Benevento Clemente Mastella, uno dei pochi leader politici italiani a vincere il ballottaggio in una grande città con uno schieramento composto da liste al di fuori del centro destra e del centro sinistra. 

Un progetto politico, quello del “centro”, che non poteva decollare prima del voto amministrativo e dei conseguenti ballottaggi ma che, appena finito questo doppio appuntamento, non può che farsi largo. E questo anche alla luce di ciò che è realmente emerso dalle urne. E cioè, una sinistra che tiene e si rafforza soprattutto dopo aver ritrovato la sua identità tradizionale “dell’antifascismo militante” – decisiva, al riguardo, anche la manifestazione indetta dai sindacati il giorno prima delle elezioni – e un centro destra letteralmente in crisi e potenzialmente distrutto da questa competizione amministrativa. Candidati sbagliati nelle grandi città, guerra per la leadership in piena campagna elettorale, perdita secca di voti nelle tradizionali aree di consenso – dalle mitiche e decantate periferie al voto di protesta agli stessi insediamenti tradizionali come ad esempio la città di Varese, tanto per citare un solo comune – che fanno del centro destra una alleanza alquanto debole, frammentata e disomogenea.

Ora, è del tutto evidente che in quadro del genere entrambe le coalizioni necessitano di una presenza di “centro” che sia in grado di spezzare una sorta di “opposti estremismi” che ormai caratterizza la politica italiana da troppo tempo. Certo, a sinistra non è ancora ben definita la presenza del populismo giustizialista e manettaro dei 5 stelle ma, credo, è del tutto evidente che il futuro di quel partito è destinato ad essere incardinato – al netto del trasformismo sul piano delle alleanze che lo contraddistingue – all’interno della coalizione di sinistra e progressista.

Un “centro”, comunque sia, in grado di porsi come un’area politica, sociale e culturale che batta alla radice quella radicalizzazione della lotta politica che resta uno degli elementi decisivi che rallenta la stessa azione di governo. O per motivi ideologici e del tutto al di fuori della reale contesa politica contemporanea – basti pensare alla solita e puntuale polemica fascismo/ antifascismo alla vigilia di ogni consultazione elettorale importante – o per la semplice volontà di annientare definitivamente il nemico politico. Che non è mai una parte con cui confrontarsi ma sempre e solo un campo da delegittimare moralmente prima e da eliminare politicamente dopo.

Ecco, oltre ad una classe dirigente qualificata, ad una vera cultura di governo, ad un rispetto rigoroso e puntuale delle istituzioni democratiche e dello Stato, al rispetto di una autentica cultura della mediazione e ad una rinnovata qualità della democrazia, anche e soprattutto si deve lavorare per un profondo rispetto dell’avversario che resta la vera cifra distintiva per una vera “politica di centro”. Perchè se dovesse prevalere la solita logica della contrapposizione frontale e dello scontro infinito e strutturale, prima o poi sarebbe lo stesso paese a cadere nella spirale del non governo se non addirittura della polemica perenne e frontale. Con conseguenti, e del tutto prevedibili, scontri di piazza a cui abbiamo assistito in queste ultime settimane per le tematiche più svariate. E, non a caso, una formazione – o federazione – di “centro” quasi si impone per la stessa garanzia di avere una vera cultura di governo.

Certo, è indispensabile individuare la figura di un “federatore” che sappia unire le varie sensibilità culturali, politiche ed ideali che non si riconoscono più negli “opposti estremismi” e che sappia declinare un progetto capace di superare quella dicotomia a cui abbiamo fatto riferimento poc’anzi. Ma, come ovvio e persin scontato, la figura di un “federatore” risponde più ad una preoccupazione tecnico/operativa che non ad una vera e propria priorità politica. Quella è persino troppo chiara per essere ancora richiamata e descritta.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, conosciamo tutti quali sono le forze attuali, e potenziali, che possono riconoscersi in questo progetto e che oggi, stancamente, si collocano ancora nei due campi contrapposti. Un progetto politico che si attrezza e si prepara in vista delle prossime elezioni generali e che, sin d’ora, può risultare come un elemento determinante e decisivo per la vittoria finale di uno dei due schieramenti principali in campo.