Dopo la Basilicata. Con Zingaretti il Pd non decolla…perché manca il centro

Si può archiviare in fretta l’ennesima sconfitta del centrosinistra, stavolta in Basilicata, oppure estrarre  dal voto un elemento di valutazione contingente, ma non superfluo.

Si può archiviare in fretta l’ennesima sconfitta del centrosinistra, stavolta in Basilicata, oppure estrarre  dal voto un elemento di valutazione contingente, ma non superfluo.

Archiviare sarebbe un errore, anche quando lo si facesse, come sembra in queste ore, con la forzata soddisfazione per una percentuale in crescita rispetto al dato delle politiche.

È vero, il declino non è irrimediabile. Dal blocco grillino si è sfaldata la “sezione” di sinistra per tornare in qualche modo a casa; ma il grosso delle perdite – più della metà del consenso raccolto nel 2018 – è andato a rimpinguare la destra, e segnatamente la Lega.

Quanto può durare l’andazzo attuale che vede sistematicamente penalizzato il M5S in sede locale, a tutto vantaggio dell’alleato Salvini? Si dice che in passato i socialisti applicavano la medesima regola pratica, accordandosi con la Dc a Roma e con i comunisti in periferia; non era tuttavia sempre così, rigidamente, anche perché l’ambivalenza socialista si ammantava di giustificazioni legate alla governabilità non potendo ignorare il peso dei comunisti, specie nelle regioni rosse.

Salvini invece adotta uno schema senza varianti: al governo con i Cinque Stelle, nelle Regioni e nei Comuni con il centro destra. Neppure avverte la fatica di spiegare la spregiudicatezza di tale condotta opportunistica, visto che il M5S ha rivendicato fin dall’inizio della legislatura il diritto al suo splendido isolamento negli enti locali.

Questa impostazione grillina ha favorito in modo diretto e indiretto una sorta di “ambientazione sovranista” del suo elettorato estraneo e, più ancora, ostile alla sinistra. Lo spostamento a destra risulta perciò coerente con i paradigmi di una sensibilità originariamente aggrappata al mito dell’antipolitica come arma di riscatto del popolo, magari a costo di un inasprimento in chiave di xenofobia, intolleranza e faziosità del vivere democratico.

Il problema del centro sinistra risente di questa inconsistenza strategica dei grillini. Anche Zingaretti stenta a trovare una linea, essendo quella che confida e sollecita il “ritorno a casa” degli elettori sedotti dal sinistrismo alla Rousseau una debole prospettiva di ripresa politica. Il renzismo mette a verbale che il partito, nonostante alcuni segnali di fiducia, continua a perdere. Si consuma in effetti l’illusione che il “partito a vocazione maggioritaria”  abbia solo bisogno, ai suoi lati, di embrionali formazioni di complemento. 

Il vuoto al centro resta incolmato. D’altronde Zingaretti ha vinto le primarie giocando una carta alla Corbyn, pur con l’afflato del post-comunista modernizzatore, immaginando che il vento del cambiamento possa spingere verso il rilancio della sinistra (emendata perciò dal renzismo). Ora, a fronte di questa tesi, il responso della Basilicata non è incoraggiante. L’impalcatura della politica zingarettiana non regge. Per altro, si nota la riduzione al minimo della pretesa funzione egemonica del Pd. Se cresce rispetto alle politiche, il centrosinistra lo deve, a vista d’occhio, alle altre componenti con forte radicamento territoriale della (finora) bistrattata coalizione. Bisogna tenerne conto: invece di un partito nazionale forte, capace di far respirare a pieni polmoni l’alleanza articolata sul territorio, sono i “mondi vitali” (liste civiche o del candidato) del territorio a trainare lo sforzo di sintesi nazionale.

In conclusione però, il Centro che manca d’identità e non si propone con autorevolezza ai fini della riforma del modello coalizionale, si staglia all’orizzonte come la più importante questione da risolvere per la politica dei democratici e riformisti. È il vero nodo della crisi italiana ai tempi del sovran-populismo.

 

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