Dopo la guerra, un’Europa diversa. Forse.

 

La guerra non è ancora finita e neppure immaginiamo quanto durerà. Il dramma ucraino forse genererà una Unione più compatta e solidale. E questo sarà senz’altro un bene. Il “forse” però è d’obbligo, perché occorrerà vedere nei momenti più duri, che ci saranno, quanto gli spiriti nazionalistici torneranno a inquinare le società

Enrico Farinone

 

La cautela è d’obbligo. Ma forse la guerra in Ucraina determinerà un ulteriore passo in avanti del progetto unionista europeo. Così come è già accaduto con le misure economiche di contrasto alle difficoltà generate dalla pandemia.

La crisi – solo pochi giorni fa, a pensarci bene – ha presentato ai suoi inizi e nei suoi vagiti finali immediatamente precedenti la terribile decisione bellica del Cremlino, il volto debole e ininfluente della UE. Prima Macron, poi Scholz sono andati da Putin e da quest’ultimo ascoltati a distanza – quel lungo tavolo, simbolica rappresentazione fisica di una distanza tale da generare incomunicabilità – e con distacco: esponenti di un’Europa debole politicamente perché divisa (ed infatti ognuno dei due leader era lì anche e forse soprattutto in quanto capo dell’Esecutivo del proprio Paese); inesistente militarmente e quindi dipendente in toto dalla NATO e dunque dagli americani; ricattabile economicamente a causa del deficit energetico, colmato in grande misura proprio dalla Russia. Tanto è vero che l’autocrate di Mosca li ha presi entrambi in giro, fingendo di ascoltarli nel loro assicurare la certa non adesione – neppure futura – dell’Ucraina alla NATO. L’avvio della guerra ha risparmiato analogo trattamento al nostro Presidente del Consiglio, previsto nella capitale russa qualche giorno dopo.

Con la sua arrogante e truculenta decisione Putin intendeva, fra le altre cose, dimostrare l’assoluta marginalità dell’Unione Europea. La sua vera interlocuzione, sulle questioni geopolitiche e su quelle militari, rimaneva ai suoi occhi solo quella con gli Stati Uniti, per quanto riguarda l’occidente. Nella sua logica – come ormai è accertato – il tempo del dopo guerra fredda è concluso: il mondo torna ad essere multipolare, con la presenza forte anche della Russia, e l’Europa torna ad essere divisa in due sfere di influenza, a ovest americana, a est russa, per l’appunto. L’obiettivo immediato – da trattare con gli USA – è il veto all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, oltre che il suo smembramento; quello di più lungo periodo è il ritiro dell’Alleanza Atlantica dai paesi che facevano parte del sistema sovietico (o almeno di alcuni fra questi, i baltici, la Polonia, la Romania…).  Idee ovviamente respinte, ma senza chiudere al dialogo. Un dialogo che però l’Europa abbozzava con il peso della propria debolezza, come detto. E che Putin pensava di gestire da una posizione di forza, a cominciare da quella derivante dal ricatto energetico.

Poi, il tragico errore dell’autocrate. Si sentiva forte, anche di fronte ad un Presidente americano che dopo la scelta fatta a Kabul appariva debole, transitorio. Ma la guerra portata nelle città dell’Ucraina ha cambiato tutto. Anche l’atteggiamento europeo.

Bruxelles ha compreso che questa volta avevano ragione gli americani, che da settimane avvertivano circa i reali intenti di Putin. E ha compreso, altresì, che questa volta erano, e sono, in gioco i valori fondanti dell’Europa sorta dalle macerie del secondo conflitto mondiale. Aiutata, in questo, dall’eroica resistenza del Presidente Zelensky e del suo popolo così come dalle imponenti manifestazioni pacifiste che in tutto il continente hanno contraddistinto lo scorso fine settimana.

Il livello di intensità e incisività delle sanzioni previste nei confronti dell’aggressore russo si è alzato, sino a prevederne alcune assai pesanti nel settore finanziario quale ad esempio l’esclusione di alcune banche russe dalla rete interbancaria mondiale; l’Alleanza Atlantica, come scrivevamo in un precedente articolo, si è rinvigorita e addirittura Svezia e Finlandia hanno mostrato interesse per una loro futura partecipazione; l’Unione Europea con una decisione storica (ancorché triste, perché quando si parla di armamenti la storia è sempre triste e tragica) ha deciso di inviare all’Ucraina armi difensive per 500 milioni di euro e non solo derrate alimentari e indumenti; ha inoltre chiuso lo spazio aereo europeo ai velivoli russi; ha, ancora, bandìto la rete televisiva Russia Today e il sito informativo Sputnik; la Germania – e questa è una notizia che meriterà, a mente fredda, qualche riflessione supplementare – aumenterà del 2% del suo PIL (il maggiore d’Europa) le proprie spese militari.

Infine c’è la decisione forse più rilevante, almeno la più significativa dal punto di vista umanitario: per consentire l’accoglienza dei profughi ucraini viene riesumata una direttiva del 2001 mai applicata, nemmeno durante la crisi migratoria del 2015, nata ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia e definita di “protezione temporanea”. Serve ad aiutare i paesi di “prima accoglienza” dei profughi, secondo i dettami dei non ancora abbandonati accordi di Dublino. Stiamo parlando soprattutto della Polonia, come stiamo vedendo dalle immagini dei telegiornali. Polonia che poi  chiederà una loro riallocazione su scala continentale. Sarà giusto. Ma sarà bene che il governo polacco, e quelli degli altri paesi del famigerato Gruppo di Visegrad se ne ricordino anche quando, magari già la prossima estate, vi saranno nuove ondate di migranti africani nel Mar Mediterraneo, sostituendo con la generosità il loro egoistico atteggiamento di chiusura tenuto sin qui ai danni soprattutto di Italia, Grecia, Spagna. Chissà che questa drammatica crisi possa far riconsiderare l’idea d’Europa anche a questi Paesi. Sarebbe un bel passo in avanti, per i Ventisette.

Insomma, la guerra non è ancora finita e neppure immaginiamo quanto durerà. Il dramma ucraino forse genererà una Unione più compatta e solidale. E questo sarà senz’altro un bene. Il “forse” però è d’obbligo, perché occorrerà vedere nei momenti più duri, che ci saranno, quanto gli spiriti nazionalistici torneranno a inquinare le società e di conseguenza le posizioni delle varie forze politiche nei diversi Paesi europei.

Una nota d’ottimismo in un momento di buio della ragione che non deve farci trascurare il fatto che quanto sta accadendo produrrà anche uno sviluppo e una crescita dei sistemi d’arma e degli investimenti economici in essi. E questo è senz’altro un male. Necessario, per difendersi da dittatori che stanno dalla parte sbagliata della Storia. Dalla quale però, purtroppo, il genere umano continua a non voler imparare alcunché.