Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Caterina Ciriello 

Da diverso tempo si scrive con più interesse di Dorothy Day, fondatrice insieme a Peter Maurin del Catholic Worker e autentica testimone del pacifismo e della non-violenza. Profetessa criticata anche all’interno della stessa chiesa cattolica americana, con il suo pensiero — che molto ha del personalismo maritainiano — e con la sua testimonianza, ispira numerosi altri intellettuali tra i quali Thomas Merton, del quale lo scorso anno si sono celebrati i cinquant’anni della morte. Di lui — per il suo passato inquieto, girovago e senza radici — padre Simeon Leiva ha detto che è «rappresentativo dell’uomo del ventesimo secolo». Come scrive Robert Ellsberg nella prefazione di una delle lettere della Day a Merton, quest’ultimo, prima di entrare in monastero, aveva lavorato con Catherine de Hueck, una carissima amica di Dorothy, alla Friendship House di Harlem.

Thomas Merton e Dorothy Day si assomigliano molto nel percorso umano-spirituale. Merton rimase presto orfano della madre e poi del padre quando aveva solo sedici anni. Figlio di artisti, aveva un’anima estremamente sensibile, che volle coltivare con gli studi umanistici. Dopo una lunga e inquieta ricerca del trascendente, nel 1938 riceve il battesimo nella Chiesa cattolica: a quell’epoca era già nato il Catholic Worker, e Dorothy Day da dodici anni si era convertita al cattolicesimo dopo una lunga e faticosa lotta con se stessa e con Dio, convincendosi finalmente che solo la fede e la carità l’avrebbero aiutata a comprendere e attuare i piani di Dio per l’umanità. Anche lei a sedici anni aveva lasciato la sua casa, gli affetti, per vivere nei bassifondi di New York ed essere con gli operai, i dimenticati della società e le vittime dell’avidità umana.

Considerando le opere e gli scritti della Day viene da pensare che sia nata troppo presto, e di Merton che sia morto troppo presto. E indubbiamente i piani di Dio sono imperscrutabili e sorprendenti perché ambedue hanno lasciato un segno indelebile nella società e nella cultura del loro tempo, una magnifica eredità, oggi più apprezzata che mai: essi sono rivisitati e contemplati come persone ispirate dallo Spirito, autentici profeti che hanno lavorato instancabilmente per una società più giusta e un mondo in pace.

La pace è un grande dono dello Spirito: ma come fare perché essa tocchi il cuore di tutti e specialmente di coloro che hanno nelle loro mani le sorti del mondo? Questa è la domanda costante. E la Provvidenza ci ha regalato due esempi da imitare.

Quando negli anni Sessanta Dorothy Day e Thomas Merton si confrontavano, condividevano idee e riflessioni sul tema della pace e della non-violenza, si era sull’orlo di una crisi nucleare che avrebbe disintegrato il nostro pianeta. Nel febbraio del 1960 la Day scriveva sul «Catholic Worker»: «Nessuno è sicuro. Non siamo più protetti dagli oceani che ci separano dal resto del mondo in guerra. Ieri i russi hanno lanciato un razzo 7,760 miglia nel Pacifico centrale, che è caduto a meno di un miglio e mezzo dal bersaglio calcolato. Il dipartimento di difesa degli Stati Uniti ha confermato la precisione del tiro». 

Nel 1962 la crisi dei missili russi a Cuba turba e indigna Merton e Dorothy Day che proprio a settembre aveva visitato Cuba, definendola «un campo armato». Dall’ottobre del 1961 e fino al successivo ottobre 1962 Merton scrive le Cold War Letters, tre lettere indirizzate ad amici, artisti ed attivisti — alcune anche alla Day — nelle quali parla di guerra e pace, per cercare di fomentare una reazione spirituale e contrastare la “bomba”. È in questo momento che crea un forte legame con Dorothy Day e il Catholic Worker per rompere il silenzio della Chiesa cattolica americana sull’incombente olocausto nucleare. Nel giugno del 1960 alla Day, che gli chiedeva di pregare per la sua perseveranza, rispondeva: «Sei la donna spiritualmente più ricca di America e non puoi fallire anche se ci provi»; poi continua amareggiato: «Perché questo profondo silenzio ed apatia da parte dei cattolici, clero, laici, gerarchia, su questo terribile problema da cui dipende l’esistenza della razza umana?».

Quanto è cambiato da allora? Non c’è più la guerra fredda (almeno apparentemente), ma gli equilibri internazionali sono assolutamente delicati al punto che qualunque commento, qualsiasi gesto inappropriato potrebbe scatenare una catastrofe. Non si tratta di visioni apocalittiche bensì della cruda realtà dei fatti, di cui forse troppo pochi si interessano praticando quello che Papa Francesco chiama tristemente «cristianesimo di facciata». 

Esso purtroppo non è cosa d’oggi. In un suo articolo del 1960 su Pasternak — per il quale la Day diceva di non aver dormito la notte — Merton annotava: «Per venti secoli ci siamo chiamati cristiani, senza nemmeno cominciare a capire un decimo del Vangelo. Abbiamo preso Cesare per Dio e Dio per Cesare. Ora che “la carità si raffredda” e ci troviamo di fronte all’alba fumosa di un’era apocalittica, Pasternak ci ricorda che c’è solo una fonte di verità, ma che non è sufficiente sapere che la fonte è lì — dobbiamo andare a bere da essa, come lui ha fatto».

La consapevolezza di dover vivere la “radicalità” evangelica e mostrare al mondo l’amoralità di certe scelte diviene uno dei punti chiave del trascorrere quotidiano di Thomas e Dorothy. In particolare Merton cercava incessantemente di creare un circolo di interesse che avrebbe dovuto realizzare una sorta di “contrappeso morale” alle forze della paura e della distruzione. Dorothy gli comunicava: «I tuoi scritti hanno raggiunto molte, molte persone, portandoli sul loro cammino, stanne certo. È il lavoro che Dio vuole da te, non importa quanto tu voglia scappare da ciò». Costantemente vicini nella preghiera («Abbiamo una bacheca con i nomi di coloro che chiedono preghiere. Il tuo è lì», scrive Dorothy), li unisce un altro grande ideale, il “dovere” di amare il prossimo. Dorothy è “affascinata” dalle lettere di Merton perché sono così ricche che portano alla conoscenza e all’amore per Dio. Però non si può amare Dio senza amare prima il prossimo, e ambedue lo sanno. Nel dicembre del 1961 Merton scriveva alla Day: «Le persone non sono conosciute solo dall’intelletto o dai princìpi, ma solo dall’amore. È quando amiamo l’altro, il nemico, che Dio ci dà la chiave per capire chi è. È solo questa consapevolezza che ci apre alla reale natura del nostro dovere e del giusto operare».

Chi conosce Dorothy Day e Thomas Merton saprà che il loro desiderio di un mondo più giusto e pieno di amore era scambiato per puro comunismo. Una lettera della Day, scritta nel dicembre 1963 a un giovane ammiratore, rivela questo particolare. Con una punta di sarcasmo ella scrive: «Miracolo dei miracoli, il nostro unico giornale diocesano, molto conservatore, ma oggi con un editore nuovo, la scorsa settimana in un articolo di due colonne ha detto che Thomas Merton ed io abbiamo trovato la giusta via per combattere il comunismo, ed in più in accordo con i principi cristiani e che c’era da dubitare che ci fosse un’altra via per un cristiano. Non potevo credere ai miei occhi. Dio è buono e innalza i difensori».

Papa Francesco nel 2015 in un viaggio negli Usa ha ricordato quattro grandi figure che hanno fatto l’America: «Quattro individui e quattro sogni (…) Dorothy Day, giustizia sociale e diritti delle persone; e Thomas Merton, capacità di dialogo e di apertura a Dio». In un mondo, oggi, pieno di odio e violenza gratuita, senza alcun rispetto per la vita e i diritti delle persone, non possiamo che fare tesoro di quanto Merton e la Day hanno fatto e detto. E concludo con una frase di Merton che dovrebbe aiutarci a riflettere su ciò che siamo e sulla possibilità che abbiamo di compiere il bene: «Sono venuto nel mondo. Libero per natura, immagine di Dio, ero tuttavia prigioniero della mia stessa violenza e del mio egoismo, a immagine del mondo in cui ero nato. Quel mondo era il ritratto dell’Inferno, pieno di uomini come me, che amano Dio, eppure lo odiano; nati per amarlo, ma che vivono nella paura di disperati e contraddittori desideri».