DRAGHI DAY. AL SENATO CINCINNATO CHIEDE UN NUOVO PATTO. LEGA VICINA ALLA ROTTURA, CONTE GIOCA DI RIMESSA.

 

 

Non ha fatto sconti, né ha eluso i problemi che l’Italia deve affrontare. Il Presidente del Consiglio, nel corso dei 36 minuti del suo intervento a Palazzo Madama, ha rivendicato il valore della unità come unica e vera condizione per rispondere alle tante emergenze e puntare alla rinascita del Paese. Nei giorni scorsi Mattarella aveva fatto capire a tutti, anche all’inquilino di Chigi, che questa è l’ora della responsabilità. La Lega però lancia l’aut aut: nuovo governo senza i 5 Stelle o le elezioni. Conte cerca di rientrare in gioco. Sospesi i lavori, fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che Draghi attenderà il voto sulle risoluzioni parlamentari prima di prendere decisioni.

 

 

Cristian Coriolano

 

La strada si è fatta impervia. Sospesi i lavori, fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che Draghi attenderà il voto sulle risoluzioni parlamentari prima di prendere decisioni. Salvini gioca la carta della radicalizzazione, Conte cerca di sfruttare le contraddizioni per rientrare in gioco. Basta osservare, sul fronte 5 Stelle,  quanto sia stato dialogico il discorso di Licheri. Al contrario, l’intervento di Romeo (Lega) ha rappresentato un vero e proprio aut aut: governo senza i 5 Stelle o voto anticipato (magari anche a febbraio per mettere comunque in sicurezza la legge di bilancio). Sempre a nome della Lega, Calderoli ha presentato una risoluzione che traccia questo spartiacque. Non è piaciuto evidentemente ciò che il Presidente del Consiglio ha detto in mattinata.

 

Vale la pena ricapitolare. Il discorso è stato quello di un Cincinnato che torna sui suoi passi, con una punta di diffidenza e molto orgoglio. Draghi non è Moro, il suo linguaggio è scabro, la sua postura impolitica: anche quando si rivolge direttamente ai senatori pecca di ingiustificato paternalismo. Neppure il richiamo agli italiani, ai sindaci e al personale sanitario, alle categorie produttive, è risuonato con la dovuta eleganza. Un orecchio fine vi ha potuto ascoltare qualche nota di eccessivo autocompiacimento, nonché di predilezione per l’appello diretto al popolo in nome del supremo interesse della nazione. Il rischio è sempre quello di scivolare sul terreno della post-democrazia a motivo della pratica esclusione del ruolo dei partiti, oggi purtroppo indeboliti.

 

In ogni caso, la questione di un nuovo patto per andare avanti è stata posta correttamente. Draghi non ha fatto sconti. È stato pungente e severo verso quanti si sono prodigati a ricavare per sé uno scampolo di libertà pre-elettorale nel corso degli ultimi mesi. Non ha risparmiato critiche a Salvini per le sue disinvolture in politica interna e (soprattutto) estera, non ha concesso a Conte l’onore delle armi visto che anche sul bonus riguardante le ristrutturazioni edilizie cala l’impegno a un’accorta revisione. Nel complesso l’atteggiamento del premier esige una quota di rispetto che cresce ogni qualvolta ci si misura con un certo “manovrismo” delle forze più irresponsabili presenti nello scacchiere politico.

 

A tarda mattinata avevamo annotato quanto segue.

 

Le voci che si rincorrono dicono che Conte e Salvini, per motivi opposti, sarebbero tentati di votare contro. Dei due, però, il secondo ha minori margini di manovra, stretto com’è tra FdI e FI. Ora il dibattito parlamentare accerterà se esistono le condizioni per questo nuovo patto, così da proseguire nel lavoro che attende il governo in vista delle tante scadenze prossime (innanzi tutto quelle relative all’attuazione del Pnrr). Non sono esclusi colpi di coda, ma è difficile immaginare che possa saltare la fiducia verso Draghi e la sua impresa. Interessante sarà leggere l’apporto che il Pd – non ha torto considerato come la “safety car” a disposizione del sistema politico nazionale – saprà dare in questo passaggio delicato. Il sostegno a Draghi, infatti, dovrebbe essere accompagnato da qualche necessaria puntualizzazione, dal momento che si avverte l’urgenza di un riequilibrio nel concepire e praticare la positiva relazione tra governo, parlamento e partiti.

 

Ancora in prima mattina, invece, scrivevamo attorno a impressioni e previsioni che, proseguendo qui nella lettura, conservano il loro significato.

 

 

Si procede a ritmo lento. Discorso del Presidente del Consiglio, interruzione di un’ora, apertura e svolgimento del dibattito e infine votazione: l’andamento dei lavori al Senato, con l’esito della fiducia in serata, fa intendere la volontà di utilizzare appieno la dinamica parlamentare per consentire fino all’ultimo la definizione del compromesso – piccolo o grande si vedrà – necessario a rilanciare l’attività del governo. Il più è fatto, non per accumulo di impegni e decisioni, bensì per semplice consapevolezza del rischio troppo alto di una rottura irreparabile. Mattarella ha fatto capire a tutti, anche all’inquilino di Palazzo Chigi, che questa è l’ora della responsabilità.

 

Letta ha distribuito pillole di ottimismo. Allo sbocciare del “Draghi Day” egli vede l’annuncio di una bella giornata. Si tratta allora di attrarre nell’orbita di questa felice evoluzione il centro destra di governo, benché i suoi leader restino guardinghi in attesa di leggere le carte. Berlusconi e Salvini vogliono vederci chiaro, immaginando di poter ottenere un risultato di chiarezza con l’esclusione dei 5 Stelle o con la loro sostanziale emarginazione. Salvini non disdegna di arrivare al rimpasto di governo, per guadagnare spazi di potere. In ogni caso, Conte esce dalla vicenda con le ossa rotte. Non ha importanza che i sondaggi rassicurino sulla tenuta dei consensi dei pentastellati, quel che vale di più è l’inesorabile declino della proposta politica che il Movimento ha tentato, in modo convulso, di accreditare nel corso degli ultimi dieci anni. In queste ore, per giunta, si rincorrono le voci a riguardo di una nuova scissione.

 

E la Meloni? Sulla richiesta di elezioni anticipate è rimasta sola. Qualcuno ipotizza che l’intransigenza dimostrata possa  rafforzare la credibilità e il peso elettorale del suo partito. Anche questo è da verificare. Intanto Fratelli d’Italia sconta persino la diffidenza degli alleati, poco disposti a cedere alle pretese di un alleato troppo forte per essere accomodante e troppo debole per acquisire l’egemonia sul centro destra. Ora sarà interessante osservare il modo con il quale, da quelle parti, si cercherà di rilanciare la coalizione in vista dell’appuntamento elettorale. Dividersi sul governo e unirsi per il voto non è una rappresentazione esaltante agli occhi della pubblica opinione.

 

Resta da mettere a fuoco la figura di Draghi, l’attore principale. Secondo il prof. Pasquino (v. editoriale sul “Domani” in edicola oggi) egli “è perfettamente consapevole che è stato chiamato a risolvere con le sue competenze, la sua autorevolezza e il suo prestigio internazionale compiti che nessuno dei politici italiani era minimamente in grado di affrontare. All’ombra del governo Draghi quei politici avrebbero dovuto dedicarsi alla rivitalizzazione delle loro organizzazioni e al ripensamento delle loro culture politiche”. Qui s’intravede una connessione, allo stato rimasta incompiuta, la quale in effetti richiede un dinamismo accresciuto. Dunque, il ruolo di Draghi non è e non sarà più, d’ora in avanti, quello del bravo ex Presidente della Bce. L’auspicata conferma della sua leadership, oggi al Senato e domani alla Camera, rafforzerà l’elemento politico che opera sempre alla base di ogni esperienza di governo. Le implicazioni si vedranno a breve.