Inaspettatamente Carlo Rossella, nelle sue ultime settimane a “Panorama”, e in pieno Governo Berlusconi II (2001-2005), di cui era stato scribacchino, per piazzare il libro di Marilena Gala fa una copertina – Febbraio 2004 – contro i ‘realismi’ del buon governo, e rilancia il tempo della leadership mondiale di John F. Kennedy. Quasi un epitaffio: grazie Silvio, ma governare non ci è bastato, manca qualcosa. Non la metterei sul ‘sogno’ ma sul desiderio: come per Dylan (che associa Kennedy ai bisogni di ora), anche in quella copertina c’è il desiderio di essere ri-associati a una Spinta. Bisogna immaginare l’icona di quei tempi: la più potente macchina volante mai costruita dall’uomo, il Saturno V, i cui motori accesi facevano saltare i sismografi fino a 80 miglia di distanza.

Il Saturno V sembrava prendere tutto il mondo su di sé e lanciarlo oltre il globo, fuori negli spazi siderali. Si andò sulla Luna quando non eravamo rinchiusi nella globalizzazione.
Se non si capisce questo non si capisce perché dobbiamo procedere con il Desiderio, e che questo è un Saturno V per non tradire la tradizione con la nostalgia ma, anzi, portarcela sulla Luna (oltre noi) per rigenerarla; perché la tradizione deve ancora dare molto alle nuove generazioni in allevamento (siamo spesso noi l’ostacolo…).

Perché il vero rischio, per dirla con il Buonarroti, non è porsi obbiettivi troppo alti e non raggiungerli, ma porseli troppo bassi e raggiungerli.
Non c’è verso, allora, non avere nostalgia del Desiderio, un motore e una spinta. Come scriveva su “Avvenire” Luigino Bruni in un editoriale del 12 Maggio 2013 (“Narciso e l’accidia”), commentando una incisione di Dürer dal titolo “Melancolia I”, l’angelo imbronciato seduto in terra getta uno sguardo fuggevole e disilluso su un cielo che si va rabbuiando, e senza stelle. ‘De-sidera’, le stelle sono cadute, non si vedono più. La voglia di ritornare a vederle. Chi possiede un desiderio possiede quindi più che una soluzione (la fissa del ‘soluzionismo’ di oggi), possiede un motore, l’energia che oggi manca per metter mano a se stessi e al mondo.

Del discorso di John Kennedy il 26 Giugno del 1963 al Muro di Berlino, quasi del tutto ignorato prima del finale in “Ich bin ein Berliner”, è questo passaggio (un avvertimento contro compiacimenti): “… Voi vivete in una isola difesa di libertà, ma la vostra vita è parte della collettività. Consentitemi di chiedervi, come amico, di alzare i vostri occhi oltre i pericoli di oggi, verso le speranze di domani, oltre la libertà della sola città di Berlino, o della vostra Germania, per promuovere la libertà ovunque, oltre il muro per un giorno di pace e di giustizia, oltre voi stessi e noi stessi per tutta l’umanità. La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. … “.

Non bastava buttar giù il muro, bisognava avere una proiezione sul Dopo. Andare oltre se stessi, e anche oltre noi stessi (essere tutti d’accordo non basta), dice Kennedy. La spinta, senza voltarsi indietro, per metter mano all’aratro e al lavoro da fare.