È normale che nel Ventunesimo secolo ci sia ancora la guerra?

 

È una domanda che avremmo dovuto affrontare non oggi, ma ieri o l’altro ieri ancora. Ma, paradossalmente, dovremmo misurarci anche con un altro quesito: perché abbiamo così tanta paura della pace?

 

Caterina Ciriello

 

«Ogni volta che gemo dentro di me e penso a quanto sia difficile continuare a scrivere d’amore in questi tempi di tensione e conflitto che possono in qualsiasi momento diventare per tutti noi un momento di terrore, penso tra me e me: “Cos’altro interessa al mondo? Cos’altro vogliamo tutti, ciascuno di noi, se non amare ed essere amati, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro, in tutte le nostre relazioni. Dio è amore. L’amore scaccia la paura. Anche il rivoluzionario più ardente, che cerca di cambiare il mondo, di ribaltare i tavoli dei cambiavalute, sta cercando di creare un mondo in cui sia più facile per le persone amare, vivere in una relazione reciproca di amore. Vogliamo con tutto il cuore amare, essere amati».

 

Questo scriveva Dorothy Day nell’aprile del 1948, tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il mondo si trovava a fare i conti con le orrende conseguenze del conflitto e la paura che il comunismo invadesse il mondo. Un anno dopo, infatti, nell’aprile del 1949 viene stipulato il Patto Atlantico (NATO), che doveva garantire la sicurezza delle nazioni occidentali proprio dal comunismo. Da allora, e fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989, la storia racconta che tra est ed ovest gli equilibri sono stati sempre molto delicati e spesso si sono sacrificate delle vite per evitare le nefaste conseguenze di una guerra nucleare. In tutto questo, però, la logica del potere politico ed economico non si è mai fermata, lasciando dietro a sé una scia di povertà ed ingiustizie sociali di cui tutti, ad est ed ovest, dobbiamo rendere conto. Quanti popoli e nazioni hanno sofferto e soffrono ancora oggi per una economia non inclusiva, ma ad uso e consumo di una piccolissima parte dell’umanità che – come diceva Gino Strada – poi decide come e dove fare le guerre e manda a combattere i figli dei poveri! Qui però il discorso è un altro: bisogna domandarsi se è normale che nel XXI secolo ci sia ancora la guerra. E questa domanda dobbiamo farcela non solo oggi che abbiamo un conflitto assurdo in corso alle porte d’Europa, ma dovevamo farcela anche ieri, e l’altro, su tutte le guerre disseminate nel mondo di cui nessuno si ricorda più, e che provocano ancora morte, distruzione e orfani.

 

La guerra è guerra dovunque; le bombe uccidono sempre. Allora, cosa cerca il mondo? “Cos’altro interessa al mondo? Cos’altro vogliamo tutti, ciascuno di noi?” Non è facile rispondere, anzi diventa quasi impossibile. L’essere umano, infatti, da che mondo è mondo, si divide tra ciò che vorrebbe fare e ciò che poi di fatto fa: l’eterno dilemma tra il dire e il fare e tutte le sue conseguenze.

 

Anche oggi, come nei duri giorni all’inizio della pandemia, ascoltiamo pareri diversi, opinioni, analisi geopolitiche, possibili previsioni a volte anche angoscianti. E siamo sinceramente commossi e stupiti del coraggio di un popolo che affronta i carri armati anche a mani nude, ma pure sconvolti nel vedere bambini, ragazzi, giovani che preparano bottiglie molotov per contrastare il nemico e forse ucciderlo.

 

Nemico. Una parola che non si dovrebbe mai pronunciare, che dovrebbe essere bandita dai dizionari, dal vocabolario corrente, perché evoca malessere, rabbia, violenza, e già troppa se ne vede in questo mondo. Certo, nel Vangelo Gesù parla di nemici ed a qualcuno potrebbe venire in mente di abolire anche il Vangelo, ma Gesù ci dice semplicemente di amarli, perché ogni persona è degna di rispetto e perché Dio è amore. È davvero così difficile amare? È talmente complicato mettersi nei panni dell’altro e non fargli ciò che non vorremmo fosse fatto a noi? «In questo scontro di interessi che ci pone tutti contro tutti, dove vincere viene ad essere sinonimo di distruggere, com‘è possibile alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada?» (FT 16). Ma, paradossalmente, dovremmo farci anche un’altra domanda: perché abbiamo così tanta paura della pace?

 

Nel 1940 in piena guerra la Day si opponeva al conflitto scrivendo: «Invece di attrezzarci in questo paese per una gigantesca produzione di bombardieri assassini e uomini addestrati a uccidere, dovremmo produrre cibo, forniture mediche, ambulanze, medici e infermieri per le opere di misericordia, per guarire e ricostruire un mondo in frantumi».

 

Forse, oggi come allora, è più facile e conveniente investire nelle armi, nella guerra e non nella pace, destabilizzare invece che unire, e magare cercare pretesti per un conflitto giusto. Papa Francesco ne ha parlato, profeticamente, nella sua Enciclica “Fratelli tutti”: «La storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali» (FT 11). Nessuna guerra è mai giusta, e lo sappiamo bene, perché è fratricida e perché Dio ci ha donato l’intelligenza e la parola per predicare l’amore, e le mani per lavorare ed asciugare le lacrime non per imbracciare un’arma. Tutta questa violenza è assurda, tutto questo odio è inumano. Chi ha paura di una terza guerra mondiale ha dimenticato le parole di papa Francesco: tutte queste violenze stanno assumendo «le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una “terza guerra mondiale a pezzi”» (FT 25). Non dimentichiamolo.

 

Caterina Ciriello

Docente  Straordinario di Teologia Spirituale e Storia della spiritualità – Pontificia Università Urbaniana – Roma