In questo articolo ben documentato si evidenzia, a un certo punto, come il nuovo sistema elettorale introdotto nel 1993 (elezione diretta del primo cittadino) ebbe come effetto il moltiplicarsi a dismisura di candidati a sindaco e a consigliere. Nel 1993 i candidati a sindaco furono 12 e 20 le liste, 15 candidati nel 1997 con 26 liste, 10 nel 2001 con 19 liste, 33 liste con 21 che non superarono lo 0,6% nel 2006 per 10 candidati, 30 liste nel 2011 con 15 che non superarono lo 0,5% per 9 candidati, 9 candidati nel 2016 con 16 liste.

Walter Marossi

Le elezioni sono sempre un fatto di numeri.

34.253 i voti di preferenza che consentirono la domenica 14 giugno del 1914 a Benito Mussolini di essere eletto in consiglio comunale, cinquantottesimo su 64 della vincente lista socialista, quando gli aventi diritto al voto erano 141.943 e i votanti furono 77.584, il 54%, curiosamente la stessa percentuale del 2016. Erano le prime elezioni a suffragio quasi universale (erano esclusi dal voto gli analfabeti, le donne, i nullatenenti, i disoccupati, i carcerati). Non che il futuro duce manifestasse grande interesse per l’amministrazione comunale: a Palazzo Marino intervenne una sola volta e si dimise dopo pochissimo tempo, per essere nominato in Cariplo ma anche qui rimase pochissimo: “il rinunciante prof. Benito Mussolini” recita il verbale, fu sostituito da un altro socialista Giuseppe Croce.

4.657 voti e ancor meno furono le preferenze per il futuro duce 2.427 nel 1919 alle elezioni politiche, le prime con una legge elettorale proporzionale, quando i fascisti presentarono la lista solo nel collegio milanese considerando Milano la capitale del fascismo mentre il PSI con segretario Bombacci (che peraltro finirà anche lui a Piazzale Loreto) prendeva il 53% dei voti cittadini.

73,7% la partecipazione al voto alle elezioni municipali del 7 novembre 1920, quando il diritto di voto fu esteso a tutti gli ex combattenti compresi i minorenni. Rivinsero i socialisti per poco più di 2.000 voti sulle destre; chi vinceva eleggeva 64 consiglieri su 80, ma la continuità era relativa perché alla tradizionale maggioranza riformista si sostituì tra i socialisti una maggioranza massimalista-comunista. Allora come oggi era ricorrente la polemica sul significato di riformista: “Riformismo è l’uovo che si accetta oggi rinunciando alla gallina domani” diceva Filippo Turati che in consiglio comunale era entrato nel 1906 e vi restò vent’anni, che proseguiva: “nulla di simile è mai allignato nel socialismo positivo. Il quale nell’azione sua fa bensì conquista di successive riforme; ma queste stanno coordinate al fine ultimo di emancipazione che informa tutto il movimento”. Insomma riformista è un aggettivo non un sostantivo.

Il nuovo sindaco Filippetti (ottavo per preferenze), già presidente dell’Ordine dei medici ma anche presidente degli esperantisti, leader ella frazione rivoluzionaria intransigente, è stato il sindaco più a sinistra nella storia della città. La composizione sociale dei consiglieri di maggioranza era nettamente più popolare e variegata di oggi: accanto a 5 avvocati e 2 medici (l’asse portante del riformismo milanese fino a 40 anni fa) vi erano 5 meccanici, 5 tipografi/incisori, 1 parrucchiere, 1 cameriere, 4 muratori/decoratori, 1 cappellaio, 2 magazzinieri, 2 fattorini, 2 piazzisti, 1 pianista; buoni ultimi nel voto di preferenze gli organizzatori di partito quelli che diverranno negli anni i “funzionari della federazione”.

Nel discorso di insediamento Filippetti non fece sconti: “il comune non è tanto e non è solo un organo amministrativo…nei nostri convincimenti è un organismo politico che fiancheggiando la classe lavoratrice guidata dal socialismo…muove in lotta contro lo stato borghese …”.

Il 3 agosto 1922 i fascisti occupano Palazzo Marino e Filippetti viene cacciato con il contributo fondamentale del prefetto, asse portante della reazione in città. Il comune viene commissariato e si va a nuove elezioni che diedero questi risultati: “Blocco cittadino di azione e di difesa sociale”(costituito da liberali, popolari, democratici moderati e fascisti) 57,4% dei voti, socialisti riformisti 30% dei voti, socialisti massimalisti 11%, comunisti l’1,5% (non entrò in consiglio).

Il 30 dicembre 1922 si insediò sindaco Luigi Mangiagalli altro ex presidente dell’ordine dei medici, nemico giurato di Filippetti, i due si narra non si salutavano. Con Mangiagalli fa la sua comparsa nel lessico politico amministrativo il termine “grande Milano”, che ritroveremo per tutto il secolo. Nonostante la solerzia con cui cercò di ingraziarsi Mussolini esemplificata dalle dichiarazioni sul delitto Matteotti: “il delitto colpisce il Governo attuale, per cercare di arrestare la vita di un grande paese e di una grande città. Quella lama che ha colto Matteotti ha colpito ancor più profondamente l’anima e il cuore di Mussolini: l’uccisione di Matteotti deve essere scontata dai colpevoli, non dal Paese e dalla nostra città”, Mangiagalli non fu mai amato dal fascismo milanese che lo accusava di essere un continuista con la politica del braccino corto dei vecchi liberali e di tutelare i proprietari di case a discapito degli inquilini, insomma il fascismo milanese era nettamente più “movimentista” del paludato e…… sindaco, che si era già fatto fare un busto alla memoria…in vita.

L’11 agosto 1925 nonostante Mangiagalli avesse sbarcato dalla giunta moderati e conservatori e governasse la città con un monocolore fascista i consiglieri comunali fascisti si dimettono e così il comune viene commissariato ancor prima dell’arrivo dei podestà; il primo dei quali fu Ernesto Belloni già capogruppo fascista in consiglio comunale, che triplicò il debito del Comune avviando una politica di grandeur che peraltro non gli portò fortuna: fu destituito, processato per corruzione e successivamente mandato al confino, gli andò comunque meglio che all’assessore Ferrario che proprio per aver visto bocciata una sua delibera sui conti comunali, trent’anni prima si era suicidato.

Bisognerà attendere il 7 aprile 1946 perché si tornasse a votare e i risultati premiarono la sinistra: 36,2% i socialisti, 24,9% i comunisti, 26,9% i democristiani, 7% ai liberali, 3% ai repubblicani e 1,6% alla prima delle liste civiche che fioriranno durante tutto il dopoguerra. Sindaco Antonio Greppi il socialista riformista cattolico che dovrà, mentre ricostruiva la città destreggiarsi tra vari cambi di maggioranza, scissioni di partito, crisi istituzionali etc.

 

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