Elezioni libiche, un errore aver forzato i tempi. Ora l’augurio è che la situazione non torni a radicalizzarsi.

 

Il dopo Gheddafi ha comportato lo sfaldamento dello Stato, poi la guerra civile e infine la spartizione di fatto del paese fra turchi e russi, i primi in Tripolitania e i secondi in Cirenaica. L’Europa, grazie soprattutto all’asse franco-italiano, punta alla stabilizzazione. Naturalmente Ankara e Mosca remano in senso contrario.

 

Enrico Farinone

 

Non era francamente difficile prevedere che in Libia le annunciate elezioni, previste per lo scorso 24 dicembre, non si sarebbero tenute. Troppo stretti i tempi per garantire lo svolgimento di una vera campagna elettorale, e dunque di sensibilizzazione di tutta la popolazione. Troppo precaria la tregua fra le opposte fazioni e troppo labili gli impegni presi dalle medesime. Troppe le tensioni all’interno dell’apparato pubblico per non dire di quelle nelle stesse forze di sicurezza interna, per garantire un corretto andamento delle operazioni elettorali.

E a conferma della pulviscolare frammentazione della società libica, se ancora la si può definire tale, si erano candidati alla presidenza ben 98 persone, praticamente l’intero gotha istituzionale incluso personaggi molto controversi, a cominciare da Saif al Islam Gheddafi, figlio dell’ex dittatore. Quale fosse il clima è facilmente intuibile dalle dichiarazioni di “stupore” fatte dai suoi avversari quando il generale Haftar, uomo forte della Cirenaica, annunciò la propria candidatura in nome dell’unità, della sovranità e dell’indipendenza del Paese: stupore in effetti comprensibile di fronte all’uomo che aveva un anno prima dichiarato guerra al Governo di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale, spaccando così definitivamente la Libia e intrappolandola in un duro conflitto civile fra Tripolitania e Cirenaica e favorendo così l’intrusione di mercenari e militari stranieri al servizio di turchi da una parte e russi dall’altra.

Insomma, la profonda divisione interna unita alla sostanziale assenza di un riconosciuto involucro statale unitario non consente una rapida convocazione dei comizi elettorali. Occorre tempo, oltre che volontà politica reale, peraltro tutta da dimostrare. E’ stato dunque un errore forzare i tempi, col risultato che ora il rinvio sine-die potrebbe re-innescare tensioni che potrebbero sfociare in nuove violenze: le armi in Libia sono ovunque, le milizie difficilmente controllabili pure e quindi il rinvio potrebbe venire utilizzato quale pretesto da qualche cellula interessata a fomentare un clima di rinnovato scontro. Un errore nel quale è incorsa la comunità internazionale e nel quale soprattutto sono incorse Francia e Italia, che ancora solo a metà novembre con Macron e Draghi avevano non solo sponsorizzato ma anche date per scontate le elezioni.

I corni della questione sono due. Da un lato c’è la positività dell’alleanza franco-italiana, sancita dal Trattato del Quirinale, ora attiva anche sul fronte libico. Non bisogna dimenticare infatti quanto gli interessi dei transalpini siano stati nel tempo conflittuali con quelli italiani, sino all’azione che condusse alla caduta del rais. Dall’altro però c’è la questione geopolitica. Il dopo Gheddafi non venne adeguatamente preparato, ed il risultato fu dapprima lo sfaldamento dello Stato, poi la guerra civile e infine la spartizione di fatto del paese fra turchi e russi, i primi in Tripolitania e i secondi in Cirenaica. Con il sostegno dei rispettivi referenti arabi. E con la sostanziale estromissione proprio degli europei, in primis proprio francesi e italiani.

L’obiettivo delle elezioni per gli europei, e per gli americani (pure essi ora relativamente marginali), era dunque – ed in prospettiva è – avere un interlocutore unico legittimato dalle medesime con il quale poter discutere e trattare interessi e problemi comuni, da quelli relativi agli approvvigionamenti energetici a quelli dei flussi migratori.

Ciò naturalmente renderebbe meno rilevante il ruolo di turchi e russi, e così la presenza sul territorio delle milizie in loro supporto, dislocate a poche miglia marine dalle nostre coste meridionali. Non è pertanto difficile immaginare il ruolo svolto da Ankara e Mosca nel rendere impossibile il voto del 24 dicembre…

Ed ora c’è da sperare che la situazione non si radicalizzi di nuovo. Non bastano, quindi, le buone intenzioni. Nel caos libico occorre prevedere tutto nei dettagli. La tempistica, del resto, non è mai un dettaglio.