Il deputato verde John Finnie del Parlamento scozzese di Edimburgo sarebbe forse stato un politico destinato all’oblio o all’ordinaria amministrazione della cosa pubblica se non avesse dato la stura ad una campagna di sensibilizzazione contro le punizioni corporali dei genitori sui figli, coinvolgendo larghi settori dell’opinione pubblica come lo Scottish National Party (Snp) di Sturgeon e alcune ong per la tutela dell’infanzia, oltre a godere del consenso politico dei laburisti e dei socialdemocratici. Poiché il governo scozzese può contare su una solida maggioranza parlamentare è assai probabile che la proposta di mettere al bando schiaffi, sberle e buffetti – sinora ammessi dalla normativa attuale che negli Stati del Regno Unito autorizza un uso “ragionevole” della forza in famiglia per educare e punire i figli – possa diventare legge e cambiare quindi una lunga tradizione di moderato autoritarismo domestico tipico della mentalità anglosassone. D’altra parte risulta che già in altri Paesi il ricorso alle punizioni corporali per “raddrizzare” comportamenti poco consoni o inclini all’obbedienza da parte dei figli minori sia stato stigmatizzato e rimosso.

Tra i sostenitori della “non violenza” fisica c’è una lista di 51 paesi già da tempo contrari a qualsiasi forma di punizioni corporali considerate inutili o peggio dannose. La prima a schierarsi contro le sculacciate domestiche, era stata la Svezia nel 1979. Seguita nel 1983 dalla Finlandia. Quindi negli anni sono arrivati la Tunisia, la Polonia, il Lussemburgo, l’Irlanda, l’Austria e molti altri Stati in tutto il mondo. Ultimi della lista, nel 2016, Mongolia, Paraguay e Slovenia. Nel 2014 è toccato alla nostra vicina di casa, la Repubblica di San Marino, mentre nel 2017 si è aggiunta la Francia.

Pare tuttavia che le tradizioni nel Regno di Sua Maestà la Regina resistano ai tentativi di innovazione e cambiamento: da alcuni sondaggi emerge infatti che la maggioranza della popolazione della Scozia non vedrebbe di buon occhio una sanzione nei confronti dei genitori che infliggono pur lievi punizioni corporali, nei limiti delle abitudini di crescita ed educazione familiare finora consolidate e tollerate come esercizio di una potestà genitoriale legittimata.

E’ di tutta evidenza che una legge che ne interrompesse la consuetudine comporterebbe una valutazione sotto il profilo penalistico e civilistico: nel primo caso in quanto il fatto costituirebbe un reato, nel secondo potrebbe formalizzare un motivo di controllo dell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Finora da noi il problema – in questi termini di iniziativa legislativa – non si è posto: ma la fantasia dei governanti di turno, che oscilla tra sentimenti di buonismo e integrazione fino a prevedere la rimozione dei crocifissi dalle aule o di mettere nel ripieno dei tortellini la carne di pollo per non urtare la suscettibilità di chi professa altre fedi (senza contare l’abolizione di presepi e canti natalizi) , al disegno di legge che ingloba nello stato di famiglia gli animali domestici o che prevede la tassazione di merendine e chinotti per pagare lavagne e scuole pericolanti, per induzione comparativa potrebbe presto portare il problema di schiaffi e sculacciate sui tavoli sontuosi delle trattative sindacali o nelle aule parlamentari, prima che la loro riduzione numerica non ne smorzi l’iniziativa politica.

In un periodo in cui tutti si stanno sforzando di lasciare un segno del proprio passaggio politico, a cominciare dall’ipotesi di anticipare il diritto di voto (elettorato attivo) ai sedicenni (senza motivarne una sostanziale ragione visto che – come mi scrive una docente di diritto- “i nostri adolescenti non hanno alcuna conoscenza della Costituzione.  Non conoscono le funzioni, i poteri, i modi di elezione, la composizione degli organi costituzionali,  in particolare del Parlamento e del Governo e del Presidente della Repubblica.  E tantomeno conoscono i programmi dei partiti politici. Non sanno niente di Economia e di teorie economiche, dell’importanza della legge di Bilancio e delle proposte alternative dei partiti per risolvere i problemi di politica interna ed internazionale”) è altamente probabile un largo schieramento parlamentare anti-sculacciate.
Si aspetta dunque l’incipit di qualche deputato o senatore che si alzi nell’emiciclo per richiamare i principi pedagogici della Montessori, di Maria Boschetti Alberti, Pestalozzi e- perché no – dello stesso Rousseau che stavolta godrebbe di un consenso pressochè unanime senza far ricorso alle consultazioni on line della democrazia virtuale.
Al bando dunque schiaffi, sberle, sculacciate per non andare oltre, d’altra parte lo suggerisce il comune buonsenso. Se si predica la non violenza è bene cominciare da casa, a condizione che non accada l’inverso: che siano i ragazzi a pestare i genitori per poi estendere questa crociata di emancipazione libertaria agli insegnanti e ai presidi, espressione di un potere autoritario da abbattere.

Nonostante la presenza di un Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, dei garanti regionali e persino comunali nessuno finora ci aveva pensato. Ma di cosa si occupano i Garanti mentre i bambini vengono sculacciati e gli adolescenti presi a scappellotti?
Se pensiamo alla nostra giovinezza qualche sberlone ce lo ricordiamo ma onestamente non possiamo attribuirgli disagi emotivi tali da provocare distonie comportamentali o una vita infelice.

Al bando i metodi forti ma tra quelli (quasi tutti) che uno schiaffo l’hanno preso per essere rientrati a casa alle 4 del mattino – se uno ha preso in mano le redini della propria vita ed è maturato diventando adulto – la maggior parte serba in cuor suo gratitudine per qualche brusco richiamo della mamma o del papà Soprattutto del padre, una figura in via di estinzione sul piano educativo familiare.
Finora, dicevo, esiste solo una Sentenza di Cassazione che mette al bando le punizioni corporali come metodo correttivo.

Facciamoci bastare quella e usiamo il buon senso: le botte non servono a nulla, spesso la mano è pesante e lascia il segno se non si passa – purtroppo – anche alle violenze fisiche vere e proprie.
Soffriamo di “bulimia legislativa”, non mi pare necessario un articolato normativo di una ventina di commi che escluda schiaffi, sberle, calci e quant’altro c’è nell’armamentario educativo dei genitori autoritari ma non autorevoli.

Riprendiamo piuttosto una sana abitudine in disuso: il dialogo. Parlare ai nostri figli, ascoltarli, perdonarli, correggerli senza mettere loro le mani addosso, vivere la famiglia come un luogo di affetti e relazioni non di conflitti palesi o latenti. Dare il buon esempio.
Anche il pedagogista Jean Jacques Rousseau sarebbe d’accordo.