Genitori e figli minori: la Cassazione smonta la sindrome da alienazione parentale.

Il procedimento vedeva una madre ricorrere avverso i due primi gradi di giudizio in base ai quali il figlio era stato affidato in via esclusiva al padre. La Sentenza della Cassazione costituisce un atto di giurisprudenza che fa testo per successive cause analoghe. La Suprema Corte ha stabilito che un figlio ha diritto di avere rapporti affettivi e di frequentazione con il padre e con la madre, fatte salve accertate e conclamate situazioni di grave pregiudizio.


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A ben vedere, negli effetti della causa de quo  su cui si è pronunciata e nella gestione dei futuri casi di minori contesi da genitori conflittuali, che si risolvono inizialmente di norma con una serie di regolamentazioni e limitazioni che vanno dal provvedimento attenuativo a quello ablativo della responsabilità genitoriale con affido esclusivo ad uno dei due, si può a ragione affermare che la Cassazione ha sancito in via definitiva un principio che farà giurisprudenza.

La cornice delle dinamiche affettive e relazionali è – come detto- quella caratterizzata da un alto tasso di conflittualità genitoriale che si riverbera nell’affido non congiunto del figlio conteso, assai spesso stritolato nella morsa del dissidio tra padre e madre di cui subisce gravi danni sul piano emotivo, psicologico e di qualità della vita, delle decisioni e delle scelte che lo riguardano negli aspetti anche quotidiani (con chi stare, se e quando incontrare il genitore non affidatario, il mantenimento economico, l’istruzione, l’alimentazione, le cure sanitarie, gli stili di vita, le frequentazioni extra-parentali e amicali, le vacanze ecc.).

La fattispecie che ha originato la decisione della Suprema Corte (che si pronunzia com’è noto sul piano della legittimità e non sul merito) riguarda il ricorso di una madre allontanata dalla vita del figlio in quanto non ritenuta idonea sotto il profilo caratteriologico e comportamentale, essendo stata valutata da due CTU personologiche (‘consulenze tecniche’ richieste dal giudice di primo o secondo grado) affetta da “sindrome della madre malevola”, assimilabile di fatto alla cd. ‘sindrome da alienazione parentale’ (PAS). Va tuttavia precisato – e qui sta l’ubi consistam della pronuncia della Cassazione  – che anche la stessa valutazione di merito viene riconsiderata se in precedenza i giudici non hanno seguito i criteri previsti nel procedimento, prima di assumere una decisione.  Nell’ordinanza 17 /05/2021 n. 13217 ora depositata, la Suprema Corte di Cassazione – 1° sezione civile-  stabilisce che “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.

Nel suo ricorso la madre in causa respinge le censure a suo carico e contesta il giudizio di 1° e 2° grado, la Cassazione accoglie il ricorso e cancella le due sentenze precedenti in quanto ritiene non sufficiente la diagnosi di una patologia,  a cui non può essere attribuito un valore scientifico incontrovertibile: i giudici che avevano applicato alla lettera le CTU, anziché recepirne acriticamente  le conclusioni,  erano infatti tenuti ad accertare la veridicità e fondatezza dei comportamenti materni verso il figlio minore essendo la valutazione negativa dei periti necessitante di un riscontro con mezzi di prova, oltre all’ascolto eventualmente protetto del minore stesso, come partecipazione alla fase istruttoria in cui può esprimere – in ragione dell’età- la propria opinione sulle scelte di vita che lo riguardano, senza i quali la patologia diagnosticata in capo alla madre rimane su un piano diagnostico astratto e non provato.

La Cassazione afferma peraltro che le sentenze impugnate appaiono “l’espressione di una inammissibile valutazione di ‘tatertyp’, ovvero configurano a carico della ricorrente , nei rapporti con il figlio minore, una sorta di ‘colpa d’autore’ connessa alla postulata sindrome” refertata con le due CTU. È come se la Suprema Corte stigmatizzasse un giudizio basato su una sorta di peccato originale piuttosto che su circostanze provate e riscontrate. L’affidamento esclusivo postula accertamenti investigativi di competenza del Tribunale volti ad acquisire prove in via incontrovertibile circa la condizione di inadeguatezza, incapacità, carenza irrecuperabile del genitore estromesso dalla responsabilità genitoriale, in considerazione della delicatezza che una decisione di tale portata ha sulla vita, sulla crescita e sull’equilibrio interiore affettivo e relazionale del minore. Inoltre non basta una asserita diagnosi di incapacità genitoriale, occorre accertarne la irreversibilità, ad esempio attraverso un percorso di mediazione familiare che il giudice in primo e secondo grado può peraltro solo suggerire ma non imporre in quanto viene rimandato ad un auspicabile accordo tra le parti.

La sentenza ribadisce alcuni punti che faranno testo per analoghi futuri procedimenti: la CTU peritale non deve essere assunta acriticamente ma vagliata e commisurata con altre prove raccolte in fase istruttoria. Inoltre essendo l’affido esclusivo un provvedimento che estromette e limita fortemente l’altro genitore a cui può essere revocata la responsabilità genitoriale, va assunto con ponderata cognizione di tutte le circostanze di specie: assumono rilievo il metodo dell’ascolto delle parti e del minore e le relazioni dei servizi sociali incaricati di acquisire tutte le informazioni utili affinchè il giudice in camera di consiglio possa decidere.

Viene riaffermato il principio del “superiore interesse del minore” che si concretizza nel diritto a mantenere rapporti bi-genitoriali — come raccomandato dalla Corte di Strasburgo — ove la loro limitazione o esclusione non si renda necessaria a motivo di situazioni di tangibile, concreto, documentato pregiudizio per il minore stesso. Significativa la considerazione della fase di crescita del minore rispetto alla quale l’assunzione di un iniziale provvedimento di affido esclusivo dovrebbe essere monitorata e valutata alla luce dell’evoluzione dei rapporti nel contesto parentale, anche allargato, lasciando spazio all’uso della mediazione familiare come strumento di recupero i termini di consapevolezza di quale sia in fieri l’effettivo “superiore e supremo” interesse del minore.

L’esperienza di ascolto maturata riguardo a contesti familiari fortemente conflittuali, specie in coppie di genitori non coniugati, ai sensi di quanto previsto dall’art. 317/bis del c.c. orienta a perseguire – con doverosa  disponibilità — alla stesura di un accordo di regolamentazione di tutti gli aspetti di vita e dei crescita di un figlio conteso nell’ambito di un affido condiviso in quanto responsabilizza entrambi i genitori a fare un passo di lato, rinunciando a pretese univoche, verso un pacato, metodico e monitorato confronto.

Assegnare un periodo di prova rivedibile per verificare l’impianto dell’accordo e la sua emendabilità è un’ottima via per stemperare gli attriti. Molto dipende dalla disponibilità reciproca di entrambi i genitori, che devono porre il benessere e la serenità del figlio ben al di sopra dei propri punti di vista: non sempre è possibile e questo, come vedremo in considerazioni successive, può costituire un irrigidimento e un forte pregiudizio di fronte al quale il giudice è sovente costretto ad assumere provvedimenti limitativi.

Tuttavia la sentenza della Cassazione fa testo e sembra indirizzare verso un incipit meno conflittuale del procedimento, a cui i genitori non devono giungere con posizioni precostituite e precluse alla mediazione. La sentenza stessa – nella fattispecie del caso considerato riguardava una madre estromessa dai rapporti con il figlio – sul piano della sua applicazione come fonte giurisprudenziale futura vale per entrambi i genitori. Questo significa che il principio sancito si applica all’uno o all’altro genitore ricorrente. E riconosce implicitamente il fondamentale e superiore diritto di un figlio di avere rapporti affettivi e di frequentazione con entrambe le figure genitoriali, fatte salve ovviamente situazioni di accertato, conclamato ed evidente pregiudizio per la sua vita.