GERARDO BIANCO, PROTAGONISTA DELLA POLITICA ITALIANA NEGLI ULTIMI DECENNI.

 

Si sono svolti ieri mattina a Roma, nella chiesa di San Gaetano, alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella e del Ministro dell’Interno Piantedosi, i funerali di Gerardo Bianco.

Il rito funebre è stato officiato da Mons. Guerino Di Tora, Vescovo emerito, insieme a don Matteo Galloni.

Al termine Pierluigi Castagnetti ha ricordato con parole toccanti l’amico di partito. “Fu un politico fedele – ha concluso – al pensiero, laico e spirituale a un tempo, del Max Weber secondo cui, senza un pensiero profondo, senza credere a nulla, non ha senso dedicarsi all’impegno politico”.

Di seguito riportiamo il testo della commemorazione.

 

Pierluigi Castagnetti

 

Carissima Tina, carissimi Maria, Fazio e Andrea, carissimo Lucio, desidero esprimervi il cordoglio e la solidarietà più affettuosi a nome dei tanti amici presenti che, a prescindere dalle attuali collocazioni partitiche, hanno condiviso con Gerardo il lungo percorso della esperienza democratico cristiana.

 

È difficile parlare di un amico quando l’affetto prevale su ogni altro sentimento. Cercherò allora di farlo prendendo le distanze, per quanto possibile, dai ricordi personali. Gerardo Bianco è stato uno dei maggiori protagonisti della politica italiana negli ultimi decenni. Uguale e diverso da numerosi altri della sua statura. Sicuramente era il più “voluto bene” dai colleghi di tutti i gruppi parlamentari. Rispettato e stimato, oltre che per la sua cultura, per la sua affabilità e lievità nel fare discorsi seri senza mai scivolare nella superficialità che, anzi, detestava, per la sua assenza di pregiudizi e settarismi nei confronti di chiunque, amico o avversario, e soprattutto per quella sua intelligenza della realtà e del futuro tipica dei grandi politici, che lo portava ad essere aperto ai cambiamenti con lo spirito di chi è a un tempo conservatore per le cose che contano e duttile per quelle che contano meno.

 

Purtroppo in meno di due anni ci hanno lasciato in tre tra i maggiori, lui, Ciriaco De Mita e Franco Marini, tutti cristiano democratici che in modo diverso hanno rappresentato questa cultura dell’essenza, della profondità e della speranza.

 

A lui era toccata una scelta non facile per quel tempo, l’Ulivo, un’alleanza fra diversi, anche molto diversi, uniti però dall’adesione al grande disegno costituzionale che altri non potevano, per scelta o semplicemente per ragioni storiche, condividere. L’aveva fatta soprattutto, come ripeteva spesso, per garantire all’Italia il ruolo di attore protagonista nella costruzione di una nuova fase dell’integrazione europea. Nei passaggi più delicati dell’adesione all’Euro, infatti, di fronte ad alcune titubanze persino di qualche ministro e alla contrarietà di tutte le forze dell’opposizione, lui schierò il peso politico del suo partito a sostegno della scelta di Prodi e Ciampi. Non bastava dichiararsi alternativi alle nuove destre, ma bisognava esserlo sulle scelte decisive per il paese. Ancora oggi godiamo i frutti di quella lungimiranza. Era molto dispiaciuto che altri amici provenienti dalla sua stessa storia, che avevano fatto legittimamente un’altra scelta politica, non apprezzassero queste ragioni.

 

Sta di fatto che volle che il suo PPI, pur rappresentando solo una parte di quella storia, continuasse a tenere aperta al suo interno una riflessione, una verifica continua, sulle ragioni profonde del cattolicesimo democratico, al punto che anche chi aveva fatto una scelta diversa si sentisse intrigato da questo dibattito: “Votano di là, ma si sentono partecipi del dibattito che si fa di qua”, mi disse un giorno. E pur esprimendo riserve e anche contrarietà per le scelte successive del PPI, come è noto, non ha mai fatto mancare solidarietà e consigli agli amici del “suo” partito.

 

Questo disegno gli ha consentito di rappresentare con dignità e autorevolezza ai popolari europei, in particolare ai suoi personali amici, il cancelliere Helmut Kohl e Josè Maria Gil-Robles, a suo tempo perseguitato dal regime franchista e poi assurto al ruolo di presidente del Parlamento europeo, le ragioni profonde che lo ispirarono in quella difficile scelta.

Un’ altra lezione della sua eredità politica riguarda la cultura meridionalistica. Il suo era un meridionalismo sturziano, dello Sturzo che quando parlava del mezzogiorno diceva “noi sud-europei”. Il sud-europeo Gerardo Bianco evocava spesso gli anni importanti della strategia mediterranea di La Pira e dei ministri Andreotti, Fanfani, Moro e anche Craxi, per dire che l’Italia senza l’ambizione di orientare la strategia occidentale nel Medio Oriente, rinunciava semplicemente a una responsabilità che le era stata affidata dalla storia e della Provvidenza. E ha guidato ANIMI, l’Associazione degli studi sul Mezzogiorno che fu di Fortunato, Salvemini, Croce, Zanotti Bianco, Compagna e altri, con questo larghezza di orizzonte, sino a poche settimane fa, quando ne ha passato la guida all’amico Giampaolo D’Andrea.

 

E, infine, il suo parlamentarismo, cioè la sua convinzione che l’architettura della nostra Costituzione si reggesse sulla centralità del Parlamento, caduta o anche solo affievolita la quale tutto sarebbe stato a rischio. Da qui la sua contrarietà, ribadita anche recentemente, alla riforma del Presidenzialismo.

 

Sono queste le ragioni per cui Gerardo è stato per molti di noi un riferimento sul piano etico e del rigore comportamentale, ma anche e soprattutto su quello politico. Fu un politico fedele al pensiero, laico e spirituale a un tempo, del Max Weber secondo cui, senza un pensiero profondo, senza credere a nulla, non ha senso dedicarsi all’impegno politico.