GIORGIA MELONI, OBIETTIVO PARTITO CONSERVATORE.

Si muove con prudenza, ma ha un progetto in testa. Muovendo dal suo ruolo apicale presso i Conservatori europei e da quello di leader del primo partito italiano, la Meloni sta studiando la possibilità di mutare gli equilibri di Bruxelles.

Giorgia Meloni è da tre mesi alle prese con le difficoltà del governare. Un’impresa certo più complicata del contestare chi governa, esercizio nel quale lei per anni si è cimentata con buona qualità e indubbio successo. In queste prime battute è parsa muoversi con una certa prudenza, anche se talvolta condita con qualche asperità rimasta inevitabilmente nelle sue corde, ma tuttora non è riuscita ad evitare alcuni passi falsi, suoi o più frequentemente dei suoi ministri, che hanno comportato imbarazzanti retromarce di sicuro non gradite alla premier ma oggettivamente non evitabili. Oltre a ciò, ma questo è noto, deve guardarsi le spalle dai suoi due infìdi alleati, entrambi invidiosi del suo successo e smaniosi di recuperare un consenso perduto che però non tornerà. 

Eppure, dietro la coltre di queste tutto sommato inevitabili difficoltà (e scontando il pedaggio dovuto all’inesperienza: Palazzo Chigi non è un luogo facile), pare di individuare nella leader di Fratelli d’Italia un disegno politico e culturale assai ambizioso, necessitante di tempo (e infatti non per caso ripete spesso che il suo governo durerà l’intera legislatura) e di costanza tutt’altro che illusorio, e perciò sarebbe utile per i suoi avversari politici, al centro e alla sinistra, non sottovalutarlo. Dal punto di vista culturale l’ambizione è connettere il vecchio pensiero conservatore, a suo dire da troppi anni in Italia dileggiato e lasciato ai margini della politica e della società, con la modernità espressa dal mondo occidentale così che essa non sia solo il portato del progressismo della Sinistra e di certo radicalismo liberal, bensì venga contaminata dal senso profondo della tradizione incarnato dalla religione, dalla famiglia, dalla nazione e insomma dai valori tipici della Destra conservatrice, ma non più meramente post-fascista e neppure post-missina.

A questo fine sarà utile andarsi a rileggere il discorso col quale la premier ha presentato il proprio governo alle Camere e in particolare il “pantheon” di personalità ivi citate. Un ruolo rilevante nel recupero di figure importanti per il sentire della Destra è immaginabile che Meloni lo abbia assegnato al ministro Sangiuliano, un giornalista con il vezzo dell’intellettuale che per il momento si è distinto solo per una esibita saccenza peraltro alquanto vacua, ma che è uno studioso di Giuseppe Prezzolini, nazionalista non fascista amico di uomini rilevanti del conservatorismo italiano, Indro Montanelli per citarne uno. E questo qualcosa vuol dire. L’uscita su Dante del Ministro della Cultura per quanto assurda possa apparire (ed essere) è parte, a mio avviso non improvvisata, di questo disegno teso a costruire un profilo nazionale più sostenuto e consapevole al Paese (termine non a caso mai utilizzato dalla Presidente del Consiglio, che in ogni circostanza utilizza e ostenta il vocabolo “nazione”, appunto).

Altrettanto rilevante, in questo caso sotto il profilo sociale, è la vicinanza empatica che Giorgia Meloni desidera trasmettere se non proprio interpretare fisicamente con i ceti più popolari, i meno favoriti nella battaglia quotidiana della vita, gli sconfitti della globalizzazione, i disagiati, insomma chi non ce l’ha fatta o rischia di non farcela. L’insistito richiamo alle sue origini umili, al suo essersi cavata da sola fuori da una condizione di partenza difficile non è casuale, né un mero vezzo da esibire in qualche trasmissione televisiva. Il suo libro autobiografico, una sincera confessione che ha trovato un forte riscontro di vendite un anno prima del successo elettorale, è un inno al suo essere una “underdog”, come ha voluto – sempre non per caso – rimarcare nel suo intervento alla Camera dei Deputati. Un termine anglosassone per rimarcare un concetto, l’essere stata “sfavorita” nel suo approccio alla vita, una condizione che è di tanti, persone che vanno aiutate dallo Stato ma che – come lei ha fatto, ad esempio anche imparando l’inglese – devono pure impegnarsi da sé, attivarsi per uscire da una situazione di difficoltà che può essere provvisoria, che deve essere provvisoria se davvero c’è la volontà di uscirne (l’ostilità verso il reddito di cittadinanza può essere letta anche attraverso questa luce interpretativa).

L’aspetto sociale è dunque ben presente nella sua visione politica, non per nulla sviluppatasi in un’organizzazione di destra avente al suo interno una forte componente sindacale e, appunto, sociale. Pure di questo l’opposizione dovrà tenere conto. Infine v’è l’aspetto politico, che come sempre è quello decisivo. Diversi indizi lasciano ritenere che questa partita Meloni intenda giocarla a un livello più alto, ovvero sul piano internazionale. Volendo lei saldare fortemente la “nazione Italia” all’occidente atlantico, sta procedendo lungo due direttrici di fondo. Da un lato l’alleanza con gli USA, anche quando a Washington comandano i democratici. E questo comporta la condivisione stretta della linea americana sulla guerra in Ucraina, con tutte le conseguenze del caso. Così facendo Meloni mantiene un raccordo con i Paesi dell’oriente europeo, ovvero quelli più scettici o addirittura ostili nei confronti della UE come è oggi (al pari di quanto pure lei ritiene) e maggiormente inclini ad una alleanza di ferro con gli Stati Uniti. Dall’altro il tentativo (ancora appena abbozzato, tutto da costruire, trattandosi di operazione assai delicata e complicata) di cambiare l’asse portante dell’Unione Europea, che è sempre stato detenuto dalla collaborazione fra Popolari e Socialisti lungo la direttrice franco-tedesca. Ora, muovendo dal suo ruolo apicale presso i Conservatori europei e da quello di leader del primo partito italiano, sta studiando la possibilità di mutare gli equilibri di Bruxelles. Primo passo per una “rivisitazione” dell’impostazione generale se non addirittura dei Trattati fondativi dell’Unione.

È questa la cornice entro la quale collocare i ripetuti incontri con Manfred Weber, capogruppo PPE a Strasburgo, uno dei massimi dirigenti popolari tedeschi maggiormente interessati ad un possibile progetto neo-conservatore. Come si sa, con l’uscita di scena della signora Merkel la CDU, complice anche la sconfitta elettorale patita nel 2021, ha virato verso destra le proprie politiche e dunque l’ipotesi di un asse europeo in grado di emarginare i socialisti non viene disdegnata. Il tempo, un anno, per sviluppare il progetto c’è. Non tutto è, naturalmente, così semplice. Numerosi sono gli intoppi – a cominciare da quelli di natura interna, Meloni lo sa bene – che si incontreranno lungo la strada. Ma è percorrendo quest’ultima che la Destra italiana avrà la possibilità – aiutata anche dall’immersione di realismo che il governo di un paese necessariamente impone – di lasciarsi alle spalle l’ingombrante peso di un passato inquinato da intollerabili rigurgiti fascisti e missini. Un’altra possibile variazione di scena, quella di un nuovo e forte Partito Conservatore italiano, che i suoi avversari dovranno esaminare con cura per adottare le più opportune contromosse. Naturalmente ciò di cui si è scritto qui naviga nel mare delle ipotesi, con una qualche effettiva possibilità, però, che il disegno sia effettivamente questo. I prossimi mesi ci diranno qualcosa in merito. In un senso o nell’altro.