Questa è la dichiarazione che il  governatore di Bankitalia Ignazio Visco, intervenendo alla Giornata Mondiale del Risparmio ha rilasciato.

La congiuntura, il risparmio e la risposta delle politiche economiche 

L’economia mondiale, dopo la contrazione senza precedenti registrata  in primavera, ha segnato in estate un rafforzamento superiore alle attese; di  conseguenza, all’inizio di questo mese il Fondo monetario internazionale ha rivisto  verso l’alto le sue stime per l’anno in corso. La caduta dell’attività economica  resta tuttavia la più forte dalla Grande Depressione, con una riduzione del prodotto  dell’ordine del 4,5 per cento. L’intensità con la quale è ripresa nelle ultime settimane  la diffusione della pandemia, in particolare in Europa, e l’elevata incertezza a essa  connessa rischiano di produrre nuovi rallentamenti dell’attività produttiva e della  domanda di beni e servizi nel breve periodo, con conseguenze ancora negative per  le prospettive dell’economia globale nel prossimo anno. 

Anche in Italia il ritorno alla crescita nel terzo trimestre è stato ben più  marcato di quanto avevamo previsto in luglio. Vi ha contribuito il netto recupero  dell’industria, dove la produzione si è riportata, in agosto, sui volumi precedenti  l’inizio dell’epidemia; sembra perdurare invece la debolezza nei servizi, nonostante  la positiva dinamica, nell’estate, della spesa per le vacanze, prevalentemente di  origine interna. 

Il rafforzamento dell’attività produttiva non sarebbe stato possibile in assenza di  un orientamento fortemente espansivo delle politiche economiche; ne è conseguito,  altresì, un deciso miglioramento delle condizioni sui mercati finanziari e creditizi.  La ripresa dell’epidemia minaccia tuttavia di incidere sui risultati conseguiti: vi è il  rischio che l’aumento dei casi di contagio – anche qualora venisse contrastato con  misure meno drastiche di quelle adottate in primavera – si ripercuota negativamente  sulla fiducia e sulla spesa delle famiglie e delle imprese. 

Il maggiore pessimismo dei consumatori registrato dall’avvio della crisi si è  riflesso in un considerevole aumento della propensione al risparmio. Nel secondo  trimestre il rapporto tra risparmio e reddito disponibile lordo, prossimo al 20 per  cento, è risultato pressoché doppio rispetto alla media del 2019, risentendo in buona  parte della diminuzione degli acquisti di beni e servizi conseguente al blocco di alcune attività. Secondo le nostre valutazioni, tuttavia, il risparmio è rimasto su  valori elevati anche negli ultimi mesi sia per motivi precauzionali, connessi con  il calo del reddito disponibile e i timori per l’occupazione, sia per la persistenza  del rischio epidemiologico e le conseguenti preoccupazioni per la salute, che  scoraggiano alcune tipologie di consumi, soprattutto quelli legati a viaggi, turismo  e attività ricreative. 

Pur riducendosi nel tempo in rapporto al reddito disponibile, il risparmio  delle famiglie italiane, che costituisce la principale fonte di finanziamento per  gli investimenti, è stato storicamente un fattore di forza della nostra economia.  Ma in una fase come quella attuale, dominata dall’incertezza e dalla debolezza  della congiuntura, l’aumento della propensione al risparmio, se non si accompagna  a un’adeguata ripresa degli investimenti e dell’attività produttiva, può causare  una diminuzione della domanda aggregata e dei redditi, alimentando, a sua volta,  una ulteriore crescita delle intenzioni di risparmio per motivi precauzionali e  innescando, così, un circolo vizioso. 

Il rischio che la propensione al risparmio rimanga su livelli elevati anche nei  prossimi trimestri, frenando la ripresa, appare concreto. Esso è confermato dalle  indagini condotte dalla Banca d’Italia tra la fine di agosto e l’inizio di settembre;  la volontà di risparmiare appare diffusa anche tra i nuclei che non si attendono cali  del proprio reddito. La quota di famiglie intenzionata a ridurre gli acquisti negli  esercizi commerciali di beni essenziali (quali quelli per prodotti alimentari) e non  essenziali (quali quelli in alberghi e nella ristorazione) non solo è più alta tra i  nuclei che hanno subito una diminuzione del reddito dall’inizio della pandemia  ma tende anche a crescere con l’aumentare dei contagi nella regione di residenza. 

I provvedimenti presi dal Governo a tutela dei posti di lavoro hanno finora  limitato le conseguenze sui redditi e sull’occupazione; la sostanziale stabilità del  tasso di disoccupazione dall’inizio dell’anno riflette anche, tuttavia, il fenomeno  dello “scoraggiamento”, con una riduzione del numero di persone in cerca di  lavoro di 300.000 unità. Pur dimezzatosi rispetto al picco raggiunto nel secondo  trimestre, il numero totale di ore di cassa integrazione autorizzate rimane su un  livello particolarmente elevato. L’acuirsi dell’epidemia potrebbe avere nuove,  pesanti, ricadute sulle già fragili condizioni del mercato del lavoro. 

Se occorre evitare di ostacolare la riallocazione dei lavoratori tra imprese e  settori, la gravità della crisi richiede di continuare a offrire loro adeguata protezione fino a quando necessario; al tempo stesso, il sistema degli ammortizzatori  sociali può essere rivisto per accrescerne la copertura, la semplicità di accesso  e l’equità. In prospettiva, nella misura in cui le condizioni macroeconomiche  lo consentiranno, gli interventi straordinari a difesa delle posizioni lavorative  potranno essere progressivamente ridotti e circoscritti ai comparti più colpiti  dalla crisi, tenendo anche conto delle esigenze per le imprese più sane di poter  riorganizzare la propria attività in risposta al mutamento delle prospettive socio-economiche. Provvedimenti volti a semplificare le regole di funzionamento  del mercato del lavoro e a estendere la riduzione del cuneo fiscale potranno favorire  i piani di assunzione delle imprese. Affinché l’aumento delle opportunità di lavoro  sia permanente, deve però aumentare la capacità di sviluppo dell’economia. 

Il rischio che per l’aggravarsi della pandemia si accentuino le ripercussioni  negative sulla domanda non riguarda solo l’Italia. Il rapporto tra risparmio e reddito  disponibile lordo è raddoppiato nell’intera area dell’euro portandosi su valori  anche superiori a quelli del nostro paese. Le indagini della Commissione europea  segnalano che le intenzioni di risparmio dei consumatori dell’area sono salite ai  livelli massimi degli ultimi 20 anni. Nel settore, più esposto, dei servizi sono già  tornati a emergere segnali di rallentamento della domanda, con ripercussioni sulla  dinamica dei prezzi.  

La recente riduzione dell’inflazione nell’area dell’euro su valori negativi  riflette in larga parte l’andamento dei prezzi dei beni energetici. In settembre,  tuttavia, la dinamica della componente di fondo ha segnato il suo minimo storico,  appena sopra lo zero, per effetto della debolezza dei trasporti e del turismo, voci di  spesa particolarmente legate all’evoluzione della pandemia. 

Il rischio di deflazione è inferiore a sei mesi fa, ma non va trascurato; sulla base  dei prezzi delle opzioni è oggi pari al 20 per cento, contro oltre il 40 a metà marzo.  Per gli esperti qualificati intervistati (con la Survey of Professional Forecasters)  dalla Banca centrale europea (BCE) la probabilità di deflazione è ancora molto più  bassa; tuttavia, la quota degli operatori che si attende un’inflazione non superiore  all’1,5 per cento tra cinque anni è pari al 35 per cento, contro circa il 10 registrato  in media tra la metà del 2014 e la fine del 2018. 

Per questa ragione, nella riunione di ieri il Consiglio direttivo della BCE ha  confermato la necessità di mantenere l’orientamento molto accomodante della  politica monetaria, con acquisti di titoli che continueranno a essere condotti in modo flessibile. Nello stesso tempo, alla luce di rischi per l’attività economica rivolti  decisamente verso il basso e sulla base delle nuove proiezioni macroeconomiche  in corso di elaborazione per la riunione di dicembre, si procederà a ricalibrare gli  strumenti di politica monetaria per rispondere in modo appropriato alla rapida  evoluzione della situazione economica e finanziaria. In particolare, le condizioni  finanziarie dovranno restare espansive per contribuire alla ripresa dell’economia,  sostenendo la domanda e l’occupazione, contrastare per questa via l’impatto  negativo della crisi pandemica sulla crescita dei prezzi e favorire la convergenza  dell’inflazione verso il suo obiettivo, da perseguire in maniera sostenuta e simmetrica. 

Il conseguimento di risoluti progressi in campo sanitario resta il fattore essenziale  per superare la pandemia e la crisi da essa generata. Nel frattempo, le politiche  economiche a livello globale dovranno mantenere un’intonazione decisamente  espansiva, a sostegno delle famiglie e delle imprese. In un contesto, comune a tutti  i principali paesi avanzati, di tassi di interesse estremamente bassi, le politiche  di bilancio hanno un ruolo particolarmente importante. In questa prospettiva il  programma europeo di spesa volto a garantire il benessere delle “nuove generazioni”  deve consentire di mettere rapidamente a disposizione dei singoli paesi le risorse  previste, da utilizzare in interventi strutturali tempestivi ed efficaci. 

L’intermediazione finanziaria  

Il clima di incertezza che ha indotto un aumento del risparmio si è riflesso  anche sui bilanci bancari. Nei dodici mesi terminanti a settembre i depositi  delle famiglie sono cresciuti del 5,6 per cento (quasi 50 miliardi), quelli delle  imprese del 24,4 (70 miliardi). In quest’ultimo caso l’incremento è in buona parte  riconducibile alle misure governative di sostegno al credito, che hanno consentito  alle aziende di accumulare fondi necessari per soddisfare le esigenze di liquidità  che si manifesteranno nei prossimi mesi, col perdurare degli effetti economici  della crisi sanitaria. 

Al termine dell’emergenza le banche dovranno farsi trovare preparate per  finanziare la ripresa; va quindi mantenuta particolare attenzione tanto alla loro  capacità patrimoniale quanto alla qualità del credito erogato. A questo riguardo  gli intermediari possono contare sui progressi compiuti negli anni scorsi e sulle  misure straordinarie poste in essere dal Governo e dalle autorità di vigilanza per  fronteggiare la crisi.

Tra il 2007 e il 2019, nonostante la doppia recessione che ha colpito  l’economia italiana e grazie alle riforme regolamentari, il rapporto tra il capitale  di migliore qualità e il complesso delle attività ponderate per il rischio (CET1  ratio) è quasi raddoppiato, al 14 per cento. Nei primi sei mesi di quest’anno  è cresciuto ulteriormente, di quasi un punto percentuale; vi hanno contribuito  in misura determinante gli utili a valere sull’esercizio 2019, capitalizzati a  seguito delle raccomandazioni delle autorità di vigilanza sulla distribuzione  dei dividendi, nonché le misure poste in essere dal regolatore europeo.  La crisi, tuttavia, ha iniziato a riflettersi sul rendimento del capitale e delle riserve,  notevolmente diminuito nel primo semestre a causa soprattutto delle maggiori  rettifiche su crediti. La capacità degli intermediari di sostenere il proprio livello  di patrimonializzazione attraverso la redditività resterà sotto pressione anche nel  prossimo futuro. 

La qualità del credito migliora dal 2015. Il flusso di prestiti deteriorati resta su  minimi storici. L’incidenza della loro consistenza sul totale dei finanziamenti si è  ridotta, al netto delle rettifiche di valore, al 3,1 per cento, oltre due terzi in meno  rispetto al picco. Le cessioni sul mercato secondario finora realizzate, unitamente  a quelle che si dovrebbero chiudere negli ultimi mesi dell’anno, permetteranno  alle banche di rispettare quanto programmato all’inizio del 2020, prima dello  scoppio della pandemia. 

Nella gestione dei crediti deteriorati le banche italiane stanno raccogliendo i  frutti del lavoro fatto, anche su impulso della regolamentazione e dell’attività di  supervisione, negli ultimi anni. Sono state create strutture specifiche per dar seguito  ai piani di riduzione presentati alle autorità di vigilanza; grazie ai miglioramenti  nella qualità delle informazioni, gli intermediari sono oggi in grado di meglio  valutare le azioni da porre in essere, tra gestione interna e cessione sul mercato, per  rispondere al deteriorarsi dei prestiti; è quindi di riflesso possibile per i potenziali  acquirenti effettuare valutazioni più accurate e tempestive. 

L’ampiezza e la profondità della crisi economica che stiamo attraversando  porterà tuttavia a un aumento delle insolvenze delle imprese. Nostre analisi indicano  che nel 2020 il deterioramento della loro situazione finanziaria determinerà un  netto peggioramento della probabilità di insolvenza: la quota dei debiti finanziari  facente capo ai prenditori più rischiosi potrebbe superare il 20 per cento,  rispetto al 13 osservato prima della pandemia. Nei prossimi anni l’evoluzione  della rischiosità delle imprese dipenderà inevitabilmente dall’andamento della congiuntura, al momento assai incerto, e dalla portata ed efficacia delle  misure che potranno essere introdotte per favorire una riduzione della leva finanziaria. 

Nei prossimi mesi sarà necessario che gli intermediari esercitino al meglio  quella che è l’essenza dell’attività bancaria: sostenere i progetti imprenditoriali  meritevoli, riconoscere senza indugio le perdite derivanti da esposizioni per cui  si prevede un’elevata probabilità di insolvenza, ristrutturare i prestiti dei debitori  in situazione di difficoltà. Rispetto al passato le banche si trovano a fronteggiare  nuovi vincoli, contabili e regolamentari, in tema di riconoscimento delle perdite  e di classificazione dei prestiti. Si tratta di obblighi volti a garantire stabilità ed  efficacia dell’intermediazione creditizia; essi sono, come è noto, particolarmente  stringenti nei paesi, come l’Italia, caratterizzati da ritardi nel pagamento dei debiti  commerciali e da tempi della giustizia civile particolarmente lunghi, per quanto  migliorati negli ultimi anni. In assenza di interventi in grado di incidere in maniera  decisa su questi fronti, il peso dei vincoli sugli intermediari del nostro paese rimane  quindi più elevato rispetto alla media europea.  

Spazi di flessibilità possono essere utilizzati dalle autorità di vigilanza  per evitare effetti prociclici sull’offerta di credito, tali da produrre un ulteriore  peggioramento della qualità del credito. La flessibilità trova però un limite nella  necessità di non rinviare l’emersione di perdite altamente probabili, anticipando  parte delle rettifiche di valore prima che le insolvenze si manifestino in modo  conclamato. Va contrastato il rischio che si accumuli nei bilanci delle banche un  eccesso di crediti deteriorati non adeguatamente svalutati.  

Un approccio proattivo in tema di riconoscimento delle perdite può consentire  alle banche di evitare di ritrovarsi in situazioni simili a quella che abbiamo vissuto  subito dopo la crisi dei debiti sovrani, quando solo dopo una decisa azione da parte  della Vigilanza – e non poche resistenze da parte degli intermediari – vennero  effettivamente e significativamente aumentate le rettifiche di valore. Ricordo che  nel 2012, proprio in questa sede, sottolineai l’esigenza di aumentare il tasso di  copertura dei prestiti deteriorati, sceso a livelli preoccupanti (inferiori al 40 per  cento). Poco prima avevamo avviato una serie di ispezioni mirate volte, tra l’altro,  a valutare l’adeguatezza delle politiche di accantonamento. Anche a seguito di  questa azione di vigilanza, la tendenza alla diminuzione del tasso di copertura  si invertì, anche se con risultati alquanto eterogenei; l’aumento medio superò  i 5 punti percentuali nei successivi due anni.

Nonostante la sostanziale stabilità del flusso di prestiti deteriorati, nel primo  semestre le banche italiane hanno accresciuto le rettifiche su crediti del 53 per  cento, in media, rispetto allo stesso periodo del 2019. Le svalutazioni sono state  in larga parte utilizzate per accrescere il livello di copertura sui crediti in bonis, la  cui rischiosità è aumentata a fronte del peggioramento del quadro congiunturale.  Il rapporto tra le svalutazioni contabilizzate fino allo scorso giugno relativamente  ai prestiti a famiglie e imprese che beneficiano delle moratorie, per i quali maggiore  è l’incertezza sull’evoluzione del merito di credito, e l’esposizione lorda verso il  totale di queste controparti è pari all’1,2 per cento, un valore di un terzo più alto  della media del complesso dei prestiti a famiglie e imprese. 

La crescita delle rettifiche su crediti è stata tuttavia fortemente eterogenea, in  larga parte guidata dall’azione di alcuni intermediari di grandi dimensioni. Diverse  banche, sia tra quelle significative sia tra quelle meno significative, presentano tassi  di copertura sui crediti in bonis molto inferiori alla media del sistema. È necessario  che questi divari siano colmati. Particolare attenzione dovrà essere prestata dalle  banche mediamente più esposte verso le imprese che hanno beneficiato delle  moratorie e verso i settori che hanno maggiormente sofferto degli effetti della  crisi pandemica. Non deve ovviamente trattarsi di un’azione indiscriminata ed è  necessario il raccordo attento con gli interventi di sostegno introdotti dal Governo.  La Vigilanza segue con attenzione questa tematica. 

L’ipotesi, di cui si sta attualmente discutendo a livello europeo, di creare  un network tra società di gestione dei crediti deteriorati (AMC) nazionali è da  valutare con favore. Per consentire a queste società di svolgere un ruolo efficace  in presenza di uno shock macroeconomico come quello causato dalla pandemia  sarebbe tuttavia necessario riflettere sui criteri finora utilizzati, alla luce degli  orientamenti sugli aiuti di Stato, per determinare i prezzi di cessione. Si dovrebbe  tener conto, in particolare, del fatto che i prezzi “di mercato” possono riflettere  tassi di rendimento tipici di contesti caratterizzati dalla presenza di asimmetrie  informative e di un elevato potere dei compratori. 

Come ho spesso ricordato, anche di recente, l’azione e gli interventi della  Vigilanza sono improntati a far sì che gli intermediari siano in grado di operare sul  mercato rispondendo con efficacia alle richieste di finanziamento in un contesto  di sana e prudente gestione. In alcuni casi, tuttavia, l’uscita dal mercato diviene  inevitabile. Quando ciò si verifica, è importante che la crisi sia gestita in modo  ordinato, senza ripercussioni per il finanziamento dell’economia e la stabilità  

finanziaria. È quindi auspicabile una iniziativa da parte delle autorità europee per  definire procedure armonizzate in grado di assicurare l’uscita ordinata dal mercato  di banche di piccole e medie dimensioni; il modus operandi della Federal Deposit  Insurance Corporation statunitense potrebbe costituire un modello da cui partire,  adattandolo alle specificità del contesto europeo. 

Le banche si trovano ad affrontare una serie di sfide – in particolare sui fronti  dell’innovazione, della razionalizzazione della struttura dei costi e, più in generale,  del recupero della redditività – che la pandemia rende oggi più cogenti. In un  contesto caratterizzato da bassi tassi d’interesse per un periodo presumibilmente  molto prolungato e di accesa competizione sulla digitalizzazione dei servizi offerti,  gli intermediari dovranno essere in grado di rivedere i propri modelli di attività, con  adeguati investimenti tecnologici e senza trascurare la predisposizione di sufficienti  difese rispetto ai connessi rischi sul piano della sicurezza informatica. 

Le sfide non sono ovviamente limitate al settore bancario. Negli ultimi anni  l’industria del risparmio gestito ha conosciuto un periodo di forte crescita, con  ricadute positive sulla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso; ne hanno  beneficiato le imprese, che hanno avviato un processo di ampliamento delle fonti  di finanziamento, e i risparmiatori, che hanno potuto diversificare maggiormente  i loro investimenti. Tuttavia, la crisi in corso ha mostrato come, specialmente  in presenza di elevati livelli di leva finanziaria e di una pronunciata attività di  trasformazione delle scadenze, nell’industria dei fondi comuni possano sorgere rischi  potenzialmente sistemici. Mentre negli anni successivi alla crisi finanziaria globale la  regolamentazione del settore bancario è stata resa significativamente più stringente,  solo ora si sta affrontando con una certa decisione la questione dell’adeguamento  delle regole del comparto non bancario; è necessario continuare a lavorare a livello  internazionale, in particolare nell’ambito del Financial Stability Board, per dotarsi  di strumenti, anche macroprudenziali, che aiutino a far fronte ai rischi che possono  formarsi in questo comparto. Si tratta di un tema che la prossima presidenza italiana  del G20 intende indicare come prioritario nell’agenda delle questioni finanziarie. 

Tecnologia, finanza e pagamenti 

In Europa la pandemia ha determinato una forte accelerazione della diffusione  degli strumenti di pagamento digitali e ad alto contenuto tecnologico. Secondo  un recente sondaggio condotto dalla BCE, da marzo il 40 per cento dei cittadini dell’unione monetaria ha deciso di ridurre l’uso del contante per i propri acquisti  quotidiani, nonostante l’accresciuta domanda di banconote di taglio medio ed  elevato probabilmente connesso con l’aumento dell’incertezza. Sono cambiamenti  che stanno interessando in maniera significativa anche il nostro paese, dove si è  registrato un aumento dell’utilizzo delle carte di pagamento, soprattutto di quelle  a maggior contenuto tecnologico come le carte contactless, e una riduzione del  contante anche nei mesi estivi, durante i quali il rischio di contagio era ridotto e le  misure di distanziamento sociale erano assai limitate. Sulla base dell’esperienza  di altri paesi europei ci si può attendere che prosegua, probabilmente ancora con  una certa gradualità, il cambiamento nelle abitudini dei consumatori verso un uso  sempre più frequente di strumenti di pagamento digitali. 

Le nuove tecnologie possono apportare benefici tangibili al sistema finanziario  e per gli utenti; favoriscono l’efficienza degli intermediari e il miglioramento dei  processi di selezione e diversificazione dei rischi; contribuiscono ad arricchire il  novero di servizi disponibili per le famiglie e le imprese, a innalzarne la qualità  e a ridurne i costi. Non si può trascurare tuttavia la necessità di disporre di un  adeguato sistema di controlli, per evitare l’insorgere di rischi per gli utenti e per  l’integrità e la sicurezza del sistema finanziario.  

Nel mercato dei servizi di pagamento, l’innovazione ha finora favorito l’utilizzo  di strumenti associati a monete private emesse da operatori bancari o comunque  strettamente vigilati. Nel futuro, anche prossimo, si profila la potenziale diffusione  di strumenti ancora più innovativi, le cosiddette stablecoins, cripto-attività il cui  valore sarebbe garantito da un adeguato collaterale, emesse da società che operano  su scala regionale o addirittura globale. Questo fenomeno pone delicate questioni  riguardanti i rischi informatici, la gestione e il trattamento dei dati personali,  il corretto funzionamento del sistema dei pagamenti, la stabilità finanziaria,  la trasmissione della politica monetaria; rilevano anche i rischi di evasione fiscale,  riciclaggio e finanziamento del terrorismo. La complessità e la natura globale di  questi temi rendono indispensabili iniziative regolamentari a livello internazionale. 

L’attenzione dei regolatori, delle banche centrali, delle autorità di supervisione  a questi fenomeni è massima. I Ministri dell’economia e delle finanze dei principali  paesi europei hanno recentemente pubblicato una dichiarazione congiunta sui  rischi derivanti dalla possibile introduzione di stablecoins da parte di operatori non  bancari. La Commissione europea ha proposto una regolamentazione applicabile  agli emittenti di questi strumenti e agli operatori che forniscono servizi a essi collegati. La proposta contiene un ampio insieme di norme riguardanti, tra l’altro,  requisiti sui fondi propri, regole per la gestione della liquidità e di interoperabilità  con i sistemi di pagamento tradizionali; essa prevede inoltre obblighi supplementari  per gli emittenti e i fornitori di servizi connessi con cripto-attività garantite da  collaterale definite “significative”. Il negoziato si è appena avviato. 

Affinché la diffusione di questi strumenti avvenga in condizioni di ragionevole  sicurezza per gli utenti e per il sistema finanziario, andrà rispettato il principio  secondo cui alle stesse attività devono essere applicati gli stessi presidi regolamentari  a prescindere dal soggetto che le svolge, che vengano osservate le norme europee per  la sicurezza degli schemi di pagamento, che sia assicurata la tutela dei consumatori  e la prevenzione di abusi. Nello sviluppare un quadro regolamentare definitivo,  occorrerà valutarne anche le implicazioni per la stabilità finanziaria e monetaria. 

La BCE ha recentemente pubblicato un rapporto sulla possibilità di emettere  l’euro digitale. Lo studio, approvato dal Consiglio direttivo, è il frutto del lavoro  di una task force ad alto livello dell’Eurosistema. In particolare, in un mondo in  cui i pagamenti digitali al dettaglio siano la norma, si è considerata la possibilità  di emettere uno strumento per effettuare pagamenti in moneta di banca centrale  e, come tali, sicuri. Anche l’emissione di un euro digitale pone tuttavia diverse  questioni, di natura legale, tecnica ed economica. Gli approfondimenti in atto  riguardano, tra l’altro, le iniziative normative necessarie affinché questo strumento  possa avere corso legale; siamo altresì impegnati a risolvere, anche attraverso una  fase di sperimentazione nell’Eurosistema, questioni tecniche legate, ad esempio,  allo sviluppo di soluzioni per pagamenti in assenza di connessione alla rete  internet; ne stiamo inoltre valutando il possibile impatto sulla struttura del sistema  finanziario, sulla redditività degli intermediari e sulla trasmissione della politica  monetaria. 

L’impegno della Banca d’Italia per garantire la sicurezza e l’inclusione  finanziaria delle fasce della popolazione con minori competenze informatiche  durante la transizione verso un’economia maggiormente digitale è costante.  È in corso la realizzazione di importanti innovazioni sull’infrastruttura europea  dei pagamenti istantanei gestita dalla Banca d’Italia (TARGET Instant Payment  Settlement, TIPS), che permetteranno agli utenti di effettuare transazioni in tempo  reale utilizzando dispositivi mobili e amplieranno significativamente il novero degli  intermediari a essa connessi. Tra le iniziative del nuovo dipartimento dedicato alla  tutela del cliente e all’educazione finanziaria vi è anche l’impegno a promuovere conoscenze in campo finanziario adeguate a un contesto, come quello attuale, in  cui l’uso dei canali digitali per la fruizione di servizi di pagamento, di investimento  e di finanziamento è in crescita costante.  

Il potenziamento e il coordinamento delle nostre iniziative in materia di  innovazione tecnologica in ambito finanziario e le funzioni legate ai servizi di  pagamento al dettaglio – dalla circolazione del contante alla sorveglianza sulla filiera  dei servizi e degli strumenti di pagamento digitali – sono promossi in Banca d’Italia  da un dipartimento dedicato alla gestione integrata di queste attività. Il dialogo  continuo con gli operatori ha luogo attraverso il “Canale FinTech”, che consente  una conoscenza preventiva dei nuovi progetti per valutarne la rispondenza alla  normativa e individuarne eventuali elementi critici, e nei processi di autorizzazione  all’accesso al mercato. Le nostre iniziative di collaborazione con l’industria e di  sostegno ai progetti in grado di apportare benefici a livello di sistema, di selezione  dei contributi di esperti e società indipendenti, di attività di ricerca e di analisi svolta  con le istituzioni e le università saranno potenziate attraverso la creazione di un  centro, “Milano Hub”, che inizierà ad operare entro la fine dell’anno. 

La ripresa dell’attività economica osservata nei mesi estivi, più intensa del  previsto, evidenzia come l’economia italiana conservi significative capacità di  recupero e testimonia l’efficacia delle politiche, monetarie e di bilancio, introdotte  per tutelare le famiglie e le imprese e sostenere la domanda aggregata. Tuttavia, le  ripercussioni della crisi sanitaria sull’economia globale, sull’area dell’euro e sul  nostro paese rischiano di protrarsi ancora a lungo, anche oltre la fine dell’emergenza.  Vi contribuiranno gli stessi effetti che l’incertezza sulle prospettive dell’economia  avrà sul risparmio e sulla domanda aggregata, le difficoltà che incontreremo a uscire  dalla fase di inflazione troppo bassa, le necessità, che in ogni caso emergeranno,  di un’ampia riallocazione di risorse tra settori e imprese, quelle connesse con  la rivoluzione digitale, con le nuove modalità di lavoro e di produzione, con la  transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio, con le sfide rivolte al  sistema finanziario. 

Proprio per questo non possiamo concentrare la nostra attenzione solo sulle  risposte all’emergenza. L’Italia deve affrontare quei nodi strutturali che per  quasi tre decenni ne hanno frenato la crescita e che la crisi ha reso più urgente  sciogliere. Le aree in cui è necessario intervenire sono note, le abbiamo ricordate in diverse occasioni anche quest’anno. Esse riguardano la qualità e i tempi dei  servizi offerti dalla pubblica amministrazione; l’innovazione in tutti i settori, con  adeguati investimenti, non solo pubblici, nelle infrastrutture di nuova generazione,  nel capitale umano e in tecnologie più rispettose dell’ambiente; la salvaguardia e  la valorizzazione del nostro patrimonio naturale e storico-artistico. L’occasione  fornita dalla disponibilità di risorse finanziarie comuni a livello europeo deve essere  sfruttata con rapidità, potrà sostenere l’attività produttiva, i redditi e l’occupazione  ben oltre gli interventi di ristoro, che pure la crisi rende necessari. 

Il Governo ha reso nota l’intenzione di avviare già dal prossimo anno  la riduzione del peso del debito pubblico sul prodotto, per riportarlo sui livelli  precedenti la pandemia entro la fine del decennio. Se la crescita nei prossimi  anni eccederà le aspettative, la discesa del rapporto tra debito e prodotto potrà  essere più veloce, con un più deciso miglioramento dell’avanzo primario. Il debito  pubblico è sostenibile, ma la sua permanenza su livelli elevati ci lascia esposti  ai rischi, e ai costi, derivanti da tensioni sui mercati finanziari o da nuovi shock  economici. Il conseguimento dell’obiettivo indicato dal Governo presuppone  l’utilizzo efficace dei fondi presi a prestito per far fronte alla crisi, nonché di  quelli messi a disposizione dai programmi europei. Non si può prescindere da  uno sforzo notevole, ma alla portata del Paese, per accrescere l’innovazione e la  capacità produttiva, gli investimenti cui destinare nei modi più sicuri e sostenibili  il nostro risparmio, le possibilità di impiego offerte dalla nostra economia e la  partecipazione al lavoro, in particolare dei giovani e delle donne.