Giuseppe Conte sulla democrazia dei cristiani. Anche lui preferisce la “ diaspora”

L’intervista del Presidente Conte ha un titolo enfatico: “ Cari Italiani fidatevi di me”.

“Non serve una Democrazia cristiana, serve una democrazia di cristiani”. Questi,  i riduttivi titoli dei giornali che richiamano solo uno dei punti espressi dal Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, nel corso di una importante intervista rilasciata a Famiglia Cristiana, nel numero giunto ieri in edicola.

Il Presidente Conte risponde ad una domanda che, in effetti, riguardando  la rinascita di una ipotetica Democrazia Cristiana 2.0, richiama il possibile ritorno in campo di un nuovo soggetto politico d’ispirazione cristiana. E’ chiaro, comunque, che il movimento dei cattolici democratici oggi presenta un’articolazione molto ampia e la Democrazia cristiana, quella riconosciuta legalmente sotto la guida di Gianni Fontana,  si trova in una fase di complessa rinascita e riorganizzazione.

Il Presidente del Consiglio parafrasa “ liberamente”, come riconosce del resto esplicitamente, il titolo di un libro di Pietro Scoppola, edito dai tipi di Laterza nel 2006: “ La democrazia dei cristiani”.

In esso,  lo storico cattolico ripercorse, in realtà,  il coinvolgimento pubblico dei cristiani in Italia. Lo fece in un momento particolare dell’esperienza cattolico democratica, sulla scia delle tante sue opere che, con il lavoro di Gabriele De Rosa, Ettore Passerin d’Entreves, Fausto Fonzi, ed altri, sono servite a definire i contenuti e le prospettive di quel processo  di apertura dei cattolici italiani al mondo moderno con la presenza di una voce nuova ed organizzata nello scenario politico e sociale italiano.

Una cosa più forte,  e meglio definita, rispetto a quella “ democrazia di cristiani” intesa dal Presidente Conte come uno “ spazio pubblico in cui i cristiani si cimentano e confrontano, muovendo da angoli visuali e, quindi, formazioni politiche anche differenti, con lo scopo di individuare i percorsi più efficaci per realizzare il bene comune”.

Il premier Conte  ripropone una sorta di quella idea di “ diaspora” che ha caratterizzato i cattolici in politica negli ultimi 25 anni.

Deficitaria e zoppicante  applicazione alla partecipazione pubblica di quei concetti evangelici di essere “ lievito” e “ sale” il cui fine è il perseguire  una dimensione umana destinata ad andare ben al di là di quella più riduttivamente e forzatamente legata alla dialettica dispiegata nella vita politica.

E’ fin troppo facile constatare che questa idea, la quale, per dirla alla Mao Zedong, potrebbe pure essere definita la “ politica dei cento fiori”, ci lascia oggi con la pressoché completa scomparsa dal dibattito politico e parlamentare di una voce in grado di rappresentare una componente fondamentale della storia politica ed istituzionale del Paese. Dunque, così, non si realizza pienamente l’auspicio del premier che anche i cattolici possano  concorrere efficacemente al bene comune.

L’afonia e  l’irrilevanza difficilmente possono far concorrere a costruire qualcosa.

In particolare, all’interno di  uno sviluppo storico, come quello italiano ed europeo, in cui la vicenda democratica si è sempre  articolata, per problemi troppo complessi da analizzare in questa sede, soprattutto all’interno del confronto o dell’incontro tra i grandi filoni di pensiero rappresentati dai liberali, dai socialisti e dai cattolici democratici.

L’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana offre, in ogni caso, lo spunto ad altre considerazioni.

Alcune,  riguardano le stesse affermazioni del Presidente Conte; altre,  le attese che il settimanale cattolico ripone nel Capo del Governo in quanto, scrive nella presentazione dell’intervista Luciano Regolo, condirettore del periodico dei Paolini,  “ anche i cattolici potrebbero trovare in lui un valido punto di riferimento nella sua azione politica, incognite populistiche e sovranistiche permettendo”.

Luciano Regolo, già nel  numero precedente del 30 settembre, aveva espresso lo stesso concetto approfittando della visita di Conte a San Giovanni Rotondo.

C’è, dunque, una continuità, almeno nella speranza, sulla possibilità di vedere avviato un “ dialogo” con il Presidente Conte, che pure guida il Governo giallo verde.

Un opportuno passaggio  oltre quel “ vade retro Salvini” che tante polemiche aveva provocato. Un “ vade retro” da inquadrare, in ogni caso,  in stretta aderenza alla citazione evangelica contenuta in Marco 8,33. Si è trattato, infatti, di un invito a seguire il senso delle cose di Dio  e non di un’invettiva personale scagliata contro il Vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini.

Resta da chiedersi quale possa essere il modo, articolato e costruttivo, per  vedere nel Presidente del Consiglio un punto di riferimento per i cattolici, mancando essi di ogni qualsiasi struttura, laicamente organizzata, in grado di interloquire su tanti temi che stanno loro a cuore: lavoro, famiglia, valori etici, giustizia, politica estera.

E’ interessante vedere l’intervista di cui parliamo nel suo complesso.  Vedere come il Presidente del Consiglio legga l’operare del suo Esecutivo. A partire dalla vicenda dei migranti e dalla più complessiva azione di lotta dichiarata “ contro le ingiustizie”, perché al centro di tale azione, egli ci dice, ci sono “ gli ultimi”.

Concetti molto belli ed espressi con una pacatezza e con una sobria enfasi che non possono lasciare indifferenti.

Così il Capo dell’Esecutivo ci rassicura nel ribadire “ che alle persone che hanno diritto allo status di rifugiato ( … ) non verrà mai negata l’accoglienza” .

In relazione alla vicenda Diciotti, però, con un carico umano fatto in gran parte di cristiani eritrei , sembra che egli dimentichi come, solamente dopo molti giorni, e grazie anche all’intervento fattivo della Cei, sia stato consentito lo sbarco di persone cui, invece,  fino ad allora si voleva negare, nonostante mancasse ogni valutazione legalmente fondata se il diritto della discesa a terra potesse loro essere riconosciuto.

In effetti, a conferma di come su questo punto non tutto così sia chiaro, giunge la lettera che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato al Governo a seguito della firma apposta sotto il decreto sulla sicurezza e l’immigrazione per ricordare come restino “ fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”. La risposta di Matteo Salvini è stata, come al solito, molto profonda e delicata.

L’intervista del Presidente Conte ha un titolo enfatico: “ Cari Italiani fidatevi di me”.

Noi, al pari di Famiglia Cristiana, non possiamo non fidarci di un uomo come Giuseppe Conte. Egli non si vergogna di ricordare di essere un devoto di Padre Pio e di come abbia “ respirato” il mondo cattolico fin dalla fanciullezza, a San Giovanni Rotondo.

Proprio per questa familiarità, però, non gli sfuggirà il fatto che il suo governo nasce sulla base di un “ peccato originale”, sia pure dovuto ad uno stato di necessità.

Si tratta di quel connubio, tanto travagliato, e su alcuni punti persino riluttante e conflittuale, che ha visto mettere insieme due forze reciprocamente sulle barricate, l’una contro l’altra armata, fino al giorno prima. Una, la Lega, è giunta a fare il fatidico passo spaccando quella coalizione con cui si era presentata a chiedere i voti agli italiani durante la campagna elettorale. Vi sono solide basi, o dobbiamo prepararci a tornare al voto, magari dopo le prossime elezioni europee?

L’accordo, così, oggettivamente finisce per trovare un punto di equilibrio su cose che non appaiono immediatamente capaci  di andare a favore degli “ ultimi”. Cosa che dovrebbe trovare essenzialmente in una nuova politica del lavoro e del sostegno alle piccole e medie imprese una risposta, così come abbiamo abbondantemente scritto in molti su queste colonne nei giorni scorsi.

Ho nominato prima Ettore Passerin d’Entreves di cui mi piace, in conclusione, citare un passo. Lo faccio  ripensando al dibattito in corso tra i cattolici democratici intenzionati ad andare in una direzione opposta a quella espressa dal Presidente Conte e, cioè,  auspicando l’avvio di una nuova loro iniziativa politica. Altrimenti, in Italia e in Europa non si sarà in grado di rispondere alla necessità di rendere concrete quelle politiche di solidarietà e sussidiarietà che giustificano e spiegano il senso di una nostra presenza autonoma. Questo il passo:  “Chi sta in piedi su di un grande passato, chi ha qualcosa, ha più doveri di chi nasce senza nulla” .