Essere stato allievo di Giuseppe Guarino, forse l’ultimo per ragione di età e non certo di merito, rappresenta la più grande avventura della mia vita. Un intellettuale, prestato al diritto, alla politica, all’economia e all’affetto di tutti quanti hanno avuto la fortuna di confrontarsi. Da giovane giurista fu fra i maggiori interpreti  dell’intervento pubblico in economia con la formazione di quegli enti economici che grazie ad attori della leva di Vanoni, Marcora e Mattei, permisero all’Italia di compiere il salto della ricostruzione. 

Allievo di Guido Carli, che gli donò assieme a Sylos Labini lo spessore internazionale, difese strenuamente la autonomia della Banca D’Italia, che gli costò odi pericolosi quando si schierò a tutela di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli contro la minaccia di Michele Sindona ed affini.

Professore attento e divertente lasciava nei suoi studenti un ricordo indelebile per la vivacità e la capacità di cogliere il talento di ciascuno oltre che di premiare l’impegno.

Avvocato unico per  prontezza nel censurare ogni illegittimità dell’Amministrazione, rimarranno epici i suoi scontri in Consiglio di Stato con Massimo Severo Giannini, avversò il depauperamento della stessa a favore della creazione di Autorità senza senso e di un regionalismo monco ed esasperato di cui solo ora ne capiamo le drammatiche conseguenze.

Uomo libero aderì al Mondo di Mario Panunzio ed in ultimo alla Democrazia Cristiana, nel suo momento più difficile a ribadire la necessità dei partiti democratici nei confronti di una politica fatta solo di personalismi.

Fu due volte Ministro, alle Finanze nell’ultimo breve Governo Fanfani e nel Governo Amato, dove inaugurò la stagione delle privatizzazioni: il suo disegno lungimirante di costituire delle pubblic company, che per portata e capitalizzazione sarebbero state in grado di competere nel mercato internazionale che si apriva con Maastricht, fu tradito a favore dell’interesse di miopi gruppi che preferirono spartirsi un bottino, che peraltro risultò loro effimero per pochezza di abilità nella gestione.  

Se il suo disegno si fosse realizzato non ci ritroveremo oggi una borsa italiana asfittica, costituta esclusivamente da un pugno di banche, ma con tre grandi gruppi, energetico, industriale e finanziario con risorse diffuse a favore dei cittadini e peso sufficiente a competere in un mercato globale oltre a un più misurato indebitamento statale.

Condivideva con Francesco Cossiga il pensiero e la genialità delle sue intuizioni e mal si adattava ai riti di una politica spesso arrogante, non fu scelto come Commissario Europeo per ragioni di deleghe congressuali, e invidiosa del suo successo.

Europeista convinto, fu uno dei primi ad aprire uno studio a Bruxelles, ne contestò il limite di non aver intrapreso un percorso  di vera Unione politica fino ad avversarne come illegale il Fiscal Compact.

Sempre generoso con tutti, corrispose l’intero emolumento parlamentare alla Caritas.

Giuseppe Guarino rimarrà sempre un uomo fuori dal coro e nel cuore di chi ha avuto l’onore e la fortuna di conoscerlo e magari, come me, di percorrere un parte importante della sua vita.