Un Paese che si meraviglia perché la foto segnaletica della giovane capitana di Sea-Watch 3 sia stata diffusa è un paese che non ricorda gli applausi distribuiti non molti anni fa ai magistrati che gonfiavano il petto mandando in giro le foto di imputati in ceppi e manette. Cominciarono con Enzo Tortora. E nessuno di loro pagò mai. Eroi.

Ultimamente abbiamo capito come vanno le cose tra loro, in questo Paese. Basta leggere le intercettazioni pubblicate sui giornali, autentica nemesi: per anni sono stati loro a usarle e oggi ne vengono colpiti. C’è, tra l’altro, un alto magistrato, imputato di reati gravissimi, che viene informato da un suo collega che stanno indagando su di lui; e allora quello che fa? Lesto si rivolge alle caritatevoli cure del procuratore generale della cassazione per metterci una o più pezze. Eroi.

Un Paese che chiama eroi i pur bravissimi tecnici ai quali è stato chiesto di far esplodere ciò che restava del ponte Morandi quando semmai fu un grande – non un eroe, un grande – l’ingegner Morandi, autore di un viadotto importante e decisivo per la rinascita di Genova che soltanto l’incuria dei gestori ha poi trasformato in assassino. Eroi.
Un Paese che non orripila guardando un tizio grassoccio il quale, ogni giorno, ogni ora, in piedi e seduto, in divisa o a petto nudo, in brache e sandali da frequentatore di un qualunque “bagni da Gino”, elenca stentoreo i prescelti da odiare. Un Paese che non orripila perché è una congregazione di bisognosi di affetto e di psicofarmaci. Eroi.

Un Paese che la prima domenica d’estate affolla il romano Palazzo dello Sport per ascoltare un certo Panzironi. Che non è quello vero, quello a capo dell’Ama con Alemanno, eroi della rinascita della Capitale, prima del cambiamento avvenuto con Virginia Raggi. Quello di domenica è uno che chiamano il “messia delle diete” e assicura a chi lo paga centoventi anni di vita. Benvenuto anche a lui nel Paese nel quale va in onda, ”h24”, come si dice nella nostra neolingua da caserma, un talent di mostri, con magistrati che stanno dalla parte sbagliata, ministri panzoni e Panzironi vari. Eroi.

Il dramma italiano sta qui. Per più di mezzo secolo l’Italia non ha avuto bisogno di eroi, anzi li ha temuti e respinti. Il Paese è risorto e cresciuto facendo a meno di queste figure imbarazzanti e dannose, esagerate e ridicole. A nessuno degli uomini – e delle donne – che hanno fatto l’Italia è stato mai riservato l’ingenuo e peccaminoso titolo. Noi italiani siamo diventati, in maggioranza, dei buoni democratici e abbiamo goduto nel vivere in un grande Paese, industriale e agricolo, fondato su grandi tradizioni e geniali intuizioni. Questo grazie a guide sicure, consapevoli, tendenti al grigio. In bianco e nero eravamo forti. Nel sovranismo di selfie e marchette siamo abbagliati e isterici.

Stanno costruendo le strutture protette che accoglieranno amorevolmente questi potenti a petto in fuori e pancia in dentro: il web accende e brucia, il click è uguale per tutti. Fortunati quelli che come l’ex direttore generale della Rai all’epoca dei “professori”, 1996-1998, Franco Iseppi, oggi presidente del Touring Club Italiano, possono ricordare, come ha fatto lui, con Stefano Lorenzetto sul Corriere della Sera del 25 maggio scorso, splendori e miserie dell’ancien régime.

Libero dalla schiavitù di descriversi supereroe, parla di se stesso come uomo che ha saputo vivere i suoi ottant’anni senza dover mai tradire, interpretando correttamente i ruoli che gli sono stati assegnati. Fiero di aver collaborato con Enzo Biagi: “Raffaele Crovi e Gianfranco Bettetini non trovavano il coraggio di dire a Enzo che un suo servizio televisivo zoppicava e andava tagliato. Mi offrii di farlo io. Mi chiese; tu che ne pensi? Hanno ragione, risposi. E Biagi: visto che sei bravo, da oggi lavori con me”.

Prima di allora, Iseppi aveva condiviso l’esperienza di un gruppo, Presenza culturale, insieme a Ermanno Olmi, Raffaele Crovi, Mario Pomilio, Leandro Castellani, Ludovico Alessandrini, Gino Montesanto e molti giovani intellettuali. Nel 1970, al concorso Rai per produttori e sceneggiatori, Paolo Grassi gli fa una domanda sul teatro africano. “Iniziai a parlare di Aimé Césaire. Mi interruppe: qui siamo gli unici due a capire che cosa sta dicendo. Se tutti i cattolici fossero come lei, noi socialisti potremmo andare a spasso. Assunto”.

Quell’Italia non aveva bisogno di eroi ma di persone intelligenti.