Governo Conte agli sgoccioli

È ormai evidente anche ai ciechi che tanto il rapporto politico tra 5stelle e Lega quanto quello personale tra Di Maio e Salvini si siano consumati

L’idea che si possano definire semplici sceneggiate a fini elettorali le randellate che i due partiti di governo si danno con violenza quanto più ci si avvicina alle elezioni europee del 26 maggio, è sbagliata.

È ormai evidente anche ai ciechi che tanto il rapporto politico tra 5stelle e Lega quanto quello personale tra Di Maio e Salvini si siano consumati e, con essi, si sia dissolto il governo che di fatto ha già superato il patto del cosiddetto “contratto”. In altri tempi (e altre epoche) qualche mese di galleggiamento non sarebbe stato difficile, in questo quadro e sulla base di un’alleanza politica così fragile, oltre che nel contesto di una recessione-stagnazione sfibrante, quattro mesi di “non governo” non potevano, e non potranno, non lasciare un segno profondo nel corpo del Paese, e della sua economia. Come già certificano molte istituzioni internazionali, dall’Fmi alla Bce, anche di fronte allo spread che è tornato tra i 260 e i 270 punti, hanno riconfermato il loro monito sul “rischio Italia”.

Certamente, chi si aspettava che il colpo finale al governo giallo-verde lo assestasse il nuovo pronunciamento di Standard and Poor’s, è rimasto deluso. Per fortuna, aggiungo io, perché se l’agenzia americana avesse tagliato il rating sul nostro debito sovrano, avrebbe con ogni probabilità innescato non solo una nuova tempesta finanziaria italiana, ma anche europea. Probabilmente è per questo che S&P, a un mese dal voto in Europa, non ha voluto prendersi la responsabilità di rischiare di provocare una crisi sistemica.

Di certo non sarà né il “decreto crescita” che mette in campo risorse che non arrivano a mezzo miliardo né il contraddittorio provvedimento cosiddetto “sblocca cantieri”, giudicato insufficiente dagli imprenditori dell’edilizia e delle infrastrutture, a dare la necessaria sferzata all’economia.

Di fatto, il “governo del cambiamento” si è rivelato un “non governo”, molto probabilmente oramai avviato alla fine dei suoi giorni. Ha un’importanza relativa se i ripetuti strappi di questi giorni produrranno la crisi di governo subito e le conseguenti elezioni anticipate dopo le europee per andare al voto ma occorre aver bene a mente che non basterà un nuovo parlamento e un diverso governo ad aprire una nuova stagione repubblicana. Smaltire la sbornia populista, sarà ovviamente necessario ma non sufficiente.

Per il vero cambiamento, ci vorranno forze politiche nuove, che diano vita ad un sistema politico più maturo e che, riprendendo il filo delle riforme costituzionali (il No a quella di Renzi, di cui personalmente non mi pento neppure un po’), non preclude alla possibilità di un intervento serio per modernizzare il vecchio assetto istituzionale. E per questo ci vuole una vera ripartenza attraverso il lavoro di ripensamento della Repubblica con una nuova Assemblea Costituente.

Un percorso complesso e non breve che però presto apparirà indispensabile e che l’Italia avrebbe dovuto iniziare a farlo già nel 1994. A costringerci a imboccare questa strada saranno circostanze pesanti, come la perdurante stasi dell’economia e un pericoloso isolamento in Europa. Ma, meglio tardi che mai.