Nel convegno che si tenne per iniziativa dell’Istituto Italiano Jacques Maritain e dell’Istituto Suor Orsola Benincasa – “Stato democratico e personalismo” (28  febbraio-1 aprile 1992) – l’autore metteva in evidenza l’aspetto problematico della crisi dello Stato, dando conto di un aspetto paradossale dell’analisi, la quale, appunto, anche nella corretta valutazione di un effettivo declino dell’organizzazione statuale, doveva prendere atto dell’avvenuta crescita ipertrofica del cosiddetto Stato sociale. Oggi, in prossimità di un analogo convegno – “A settant’anni da L’uomo e lo Stato” – promosso dall’Istituto Internazionale Jacques Maritain, in programma domani, giovedì 18 novembre (in basso il link per visualizzare la locandina), la domanda del prof. Mirabelli è ancora più attuale perché in effetti, proprio nella tormentata fase della pandemia, il “bisogno di Stato” è lieviatato abbondantemente, costringendo intellettuali e politici a riarticolare il pensiero critico attorno alla triade autorità, ordinamento statuale e libertà.

Cesare Mirabelli 

Mi limito solamente a enunciare alcune sottolineature, che potranno essere, anche da parte mia, oggetto di ulteriore riflessione.

Ho l’impressione che uno dei punti nei quali ci si trova e s’incrocia l’attenzione del filosofo e del giurista, è quello della sovranità e dei limiti della sovranità. Se è un concetto che vuol nascere come assenza di limite, non trova in se stesso la sua limitazione e non la trova all’esterno di sé proprio attraverso il profilo dei diritti fondamentali dell’uomo. Diritti fondamentali come limiti del potere, di ogni potere, con quanto ne segue, imprevedibile sin negli esiti se facciamo attenzione alla esperienza contemporanea; imprevedibile sin nelle costruzioni logiche alle quali eravamo abituati, se facciamo riferimento agli esiti che si hanno, ad esempio, sulla stessa legge, sulla illegittimità della legge. Qui il punto è di rottura profonda, perché l’atto che esprime al massimo la sovranità, riesce o può avere il destino di essere caducato all’interno degli stessi meccanismi che lo Stato appresta.  

Questo, con riferimento ai diritti fondamentali, è sicuramente sistema di garanzia, doppiato anche da controlli esterni, ma l’altro punto al quale fare attenzione è la caduta che la legge può avere per controlli che attengono a sempre maggiori profili di ragionevolezza, cioè se attraverso questi meccanismi in realtà non si tenda a recuperare, sia pure molto implicitamente, una esigenza di giustizia. 

Sono solo frammenti e mi scuso per l’assoluta episodicità di queste osservazioni, che vogliono semplicemente sollecitare un dialogo e un approfondimento. 

Altro punto. Si è detto del declino dello Stato nazionale, anche questo, con una lettura che si riferisce alla esperienza contemporanea. Vorrei tentare di introdurre un altro elemento di riflessione: quale Stato precede questa crisi? Cioè non assistiamo, forse, alla massima espansione dello Stato, nel momento in cui si avverte l’inizio del suo declino? E come questo si coniuga con i nuovi compiti che lo Stato ha sviluppato e ha svolto? E qual è il collegamento di questo declino con la forma dello Stato sociale nella quale ci muoviamo? E quale tipo di interdipendenza questo determina, proprio in ragione di quella aspirazione a forme di collegamento o di potere universale che vengono prospettate? 

E allora, che cosa fare? Probabilmente recuperare dei metri di giudizio nella dinamica di queste situazioni. In questo il giurista è disarmato e si affida, piuttosto, al filosofo. 

 

(Tratto da C. Mirabelli, Sovranità e Stato, in AA.VV., Stato democratico e personalismo, Atti del Convegno Nazionale di Studio per il XL de «L’uomo e lo Stato» di J. Maritain, Napoli, 28/2-1/31992, a cura di Giancarlo Galeazzi, Vita e Pensiero, 1995, pp. 287-288).

 

Locandina del convegno su L’uomo e lo Stato

https://istituto.maritain.net/IIJM-Brochure_l_uomo_e_lo_Stato_2021.pdf?c519ce&c519ce