Al Palazzo Zabarella di Padova fino al 18 aprile 2021 si potrà visitare la mostra “I MACCHIAIOLI. Capolavori dell’Italia che risorge”.

L’esposizione, curata con rigore e punti di vista inediti da Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, propone oltre cento opere di maestri come Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Giovanni Boldini, Telemaco Signorini, e altri meno noti, ma non meno significativi, come Adriano Cecioni, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca. 

Il movimento dei “macchiaioli” si sviluppa tra il 1844 ed il 1870 e, come spesso accade tra Ottocento e Novecento, il loro punto di incontro fu un caffè (il Caffè Michelangelo in via Larga a Firenze) dove esso maturò dopo i moti politici del 1848. Periodo in cui giovani e validi artisti, mossi da un entusiasmo risorgimentale, diffondono nuove idee e intuizioni artistiche, che superano i lasciti neoclassici e i veti accademici per rappresentare, con coraggio e determinazione, la realtà da loro vista, con acutezza e sensibilità, raccontando la vita soggettiva e collettiva del momento. Il termine era stato coniato in un articolo, piuttosto critico, che uscì sulla Gazzetta del Popolo il 3 novembre 1862: “… son giovani artisti che si son messi in testa di riformare l’arte, partendosi dal principio che l’effetto è tutto…”. Certamente la “macchia” è fondamentale e deve essere intesa secondo le indicazioni di Fattori: “… vedere sul vero una figura, o umana o animale stagliata su un fondo, fosse un muro bianco e aria limpida o altri soggetti…”, che indirizza la sua ricerca in un personale realismo. Alla base della loro tematica si poneva l’affermazione: “tutto è bello in natura dal punto di vista dell’arte” e di conseguenza “l’opera d’arte non è che lo sviluppo di un’impressione ricevuta, quando sia convenuto e stabilito che il punto di partenza debba essere un motivo del vero”.

Un mondo, quello di questi artisti, ricco di valori e di coraggio, in cui l’uomo, a tratti di stile romantico alla Byron, ha anche un intenso rapporto con la natura che lo circonda. Essi colgono spunti di pulsioni e visioni alla Friedrich, riportando alla memoria la maestria di Turner e rivalutando un paesaggio in simbiosi con la vita nel concetto, ma non nell’estetica puramente visiva. Ed in un’ottica di rivisitazione romantica il Lega, ad esempio, guarda con attenzione alla lezione di Delacroix sull’importanza pittorica dell’istinto e dell’improvvisazione, “… quegli slanci particolari che rapiscono l’ascoltatore e insieme l’oratore…”.

Inoltre, nello studiare le opere dei macchiaioli non si possono dimenticare pitture come quelle di Filippo Palizzi o influenze, più o meno accreditate, di paesisti francesi come Corot, Daubigny e Rousseau.

Firenze, città nella quale il Rinascimento (chiarezza, verità, logicità) non ha mai smesso di vibrare nell’aria artistica che l’avvolge, riunisce questi artisti-patrioti che intendono andare oltre alle indicazioni accademiche e politiche: unione, libertà, personalizzazione, società e vita quotidiana. L’Esposizione Universale di Parigi del 1855 fu un momento importante per la “consacrazione” del gruppo. In realtà, il movimento non ebbe mai quel respiro e notorietà internazionale che ci si poteva aspettare soprattutto per la situazione italiana sia politica (lotte per l’unità nazionale) che artistica ovvero suddivisione in regionalismi con scarso impatto sull’estero. 

Tra i momenti più significativi del gruppo spicca l’Esposizione fiorentina del 1861, vinta dal napoletano Morelli che affermò. “…il mio quadro mi pareva di una pittura brutale e non finita…” insomma “… è una meraviglia: è tutto italiano proprio italiano…”. Ed è proprio questo artista che assieme ad altri, tra cui Telemaco Signorini, sapiente realizzatore, innovatore del naturalismo e teorico chiave del movimento, ed il riformista Fattori, rimpostano la tavolozza. 

I macchiaioli osservano il reale, trasformano cromatismi, propongono quotidianità eroiche del popolo con diverse tendenze e molteplici messaggi nonché con focalizzazioni personalizzate su ombra, luce e colore. Riguardo Giovanni Fattori, gli storici spesso si chiedono se fu veramente un macchiaiolo per il suo stato d’animo non transitorio ma eterno, per l’amore verso artisti come Giotto e per la curiosa attenzione verso riflessioni prospettiche alla Paolo Uccello. Certo è che egli è uno dei maggiori esponenti del gruppo, al quale aderì con profonda partecipazione e massimo sentore. Egli, infatti, fu in costante interazione con la sua produzione che, soprattutto nel paesaggio, ci preannuncia un dileguarsi atmosferico tipico dell’Impressionismo.  

In mostra, tra gli altri, si possono ammirare anche immagini di signore al sole osservate da Cabianca, che ama “giocare” con chiaroscuri diventati, nell’ultimo periodo della sua produzione, quasi violenti, arricchiti poi da colori densi. E poi le bambine, che il Lega (verista definito all’epoca “intransigente ed accanito” e virtuoso del disegno) dipinge con rimando stilistico a Degas. Ancora: la gente al mercato e madri piene di vita immortalati da Banti; bambini colti nel sonno e donne che leggono rappresentati da Adriano Cecioni.

Quest’ultimo, anche scultore e fondatore della “Scuola di Resina” a Napoli, dichiarava: “Il vero è buono solamente per coloro che vi sanno leggere dentro … l’individuo riproduce se stesso nell’opera sua”. Troviamo anche Odardo Borrani con le sue montagne, dove le mietiture diventano oro di un sole terreno che relaziona ampi spazi di una natura incontaminata, e Serafino de Tivoli e le sue pescaie, autentico omaggio all’evoluzione ed alla coesistenza armonica tra genere umano, animale e natura. Infine, Giovanni Boldini, buon ultimo ad aderire al movimento essendo arrivato a Firenze quando il movimento era già al suo apice ed anche l’eroismo iniziale stava, lentamente, tramontando.