Dopo la fine del partito unico dei cattolici è finita anche la loro presenza politica o rimane qualcosa di quei principi, di quei programmi, di quei valori che avevano ispirato tanta parte della storia recente di questo Paese?

E dopo il tramonto del collateralismo con le associazioni, con i cenacoli culturali, con il mondo del volontariato, con lo stesso sindacato, dove può trovare spazio e collocazione – se mai esiste ancora – una dottrina sociale ispirata ai principi della giustizia e della carità, dell’equità e dell’etica dei comportamenti? Non disponiamo oggi di un Codice di Camaldoli in versione 2.0, mancano menti illuminate, penne raffinate e visioni lungimiranti.

Ma non per questo si deve giocare al ribasso.

Dal cattolicesimo popolare possono emergere idee e luci per rischiarare i troppi coni d’ombra del presente.  A guardarsi in giro è difficoltoso distinguere, anche stropicciandosi gli occhi: retaggi, rimpianti, ricordi danno sostanza ad uno sparigliamento che assomiglia più al limbo dell’indeterminato di quanto non rendano  l’idea di una compattezza nobilitata da connotazioni qualificanti.

E serve ancora a questa Italia del terzo millennio che i cattolici si rimbocchino le maniche e si diano da fare per partecipare con fattivo e concreto contributo a definire e magari guidare ancora un modello di società, a traghettare il salvabile di una stagione finita e lontana – ma che non merita di essere demonizzata – oltre le secche di una palude, come quella attuale, affidata più alle cronache spicciole di giornata, agli aneddoti pruriginosi, alle squallide diatribe di palazzo e agli inciuci tipici del peggiore trasformismo nazional-popolare?

Destra e sinistra – a un tempo alibi e miti di un bipolarismo sui generis, più preoccupato di rivendicare il principio di alternanza che di sostanziarne le idee – hanno diviso e separato i cattolici in nome di ragioni diverse, che gli apparentamenti politici con gli alleati di coalizione hanno poi reso sovente inconciliabili con le origini. La polarizzazione è sovente una forzatura del buon senso e dei sentimenti popolari, piuttosto che una presumibile strategia vincente.

Possiamo dire che molta parte dei cattolici oggi impegnati in politica hanno svenduto a buon mercato le loro idee? A conti fatti sì, possiamo dirlo.

Se n’è accorta da tempo anche la Chiesa, suo malgrado accomodante verso certi adattamenti al nuovo che avanza e attenta a non mischiare fede e ragion di stato in nome di una laicità che è patrimonio culturale condiviso.
Ma non è venuta meno la Chiesa: hanno mancato, arrabattandosi di qua e di là con disinvolte capriole, coloro che – dopo lo sconquasso degli anni novanta, si sono arrogati il compito di traghettare principi e valori, mostrandone spesso il lato peggiore.

Eppure questioni aperte ce ne sono e il contributo del cattolicesimo sociale potrebbe essere determinante: l’etica in politica, innanzitutto, la famosa e ormai retorica ‘questione morale’, la tutela della famiglia, la vivibilità dei contesti urbani, i flussi migratori, le difficoltà del vivere sociale con le nuove forme di povertà, il problema del lavoro e della casa, i sani principi educativi, la nobilitazione del merito, la dignità della giustizia, il dovere della carità, la difesa della vita..

Spiace, turba, confligge pensare e vedere che molti sedicenti cattolici si impegnano con più fervore su altri campi, se n’è accorta anche la CEI che ha posto il problema di una nuova classe politica dove l’impegno civile e sociale dei cristianesimo trovi una concreta collocazione.

I tempi si fanno bui, troppo di quello che ci compete risulta disinvoltamente possibile, aggiustabile, riciclabile: una concezione machiavellica del potere dove la preoccupazione principale è di trovare spazio per succedere a se stessi.

Anche alla politica si potrebbe dunque chieder conto di ciò che qualifica una presenza personale ispirata ai valori del cattolicesimo: vedo molte genuflessioni ma poca coerenza di vita. 

A chi fa politica e professione di fede va chiesto se – oltre il presenzialismo datato, agli assetti di potere, alle alleanze a quadratura variabile – sussista un problema di unità di principi e di valori che prescinda dagli schieramenti, se non sia quella la discriminante che conta, più dello stare da una parte o dall’altra, più dello schierarsi a tutti i costi.

Magari ponendo anche qualche interrogativo sui tempi utili per passare ad altri il testimone della rappresentanza. Ci sono molti buoni esempi da imitare, in genere silenti e nascosti: sono le persone rette che conquistano la convinta adesione dei cittadini, poiché esprimono coerenza tra idee e azioni. Ma ci sono anche molti “dottor sottile”, depositari autoreferenziali di una eredità culturale, che cercano cavilli, puntualizzano, si compiacciono di elaborazioni semantiche sempre più ardite. Costoro mi ricordano i monsignori presi di mira da Voltaire: persone molto più impegnate a gareggiare nel distinguersi tra di loro che nell’assomigliare a Cristo.

E questa metafora valga anche in senso laico, per chi si atteggia ad essere l’ultimo defensor fidei.