I soldi per i redditi di cittadinanza ci sono, per i lavoratori fragili no.

Lo strumento proposto fin dal governo Conte 1 per combattere la povertà dimostra che questo obiettivo non è stato raggiunto, almeno non appieno. La realtà sopravanza le aspettative dei riformatori astratti. Nel frattempo, mancando le risorse, non si aiutano a sufficienza i cosiddetti lavoratori fragili.

Dopo il DL 105 del 23 luglio 2021 che ha “concesso” ai lavoratori fragili pubblici e privati di poter usufruire a domanda dello smart working fino al 31 ottobre p.v. (mentre contemporaneamente lo stato di emergenza veniva prorogato fino al 31 dicembre 2021, in ciò creando una evidente discrasia tra le due date e ci si chiede come sia stato possibile che nessun Ministro e nessun tecnico che si occupa di tale fattispecie ci abbia pensato) arriva adesso un’altra tegola per questa categoria di lavoratori “ammalati e sfortunati” perché devono lottare con la propria patologia grave (parliamo di chemioterapici, immunodepressi, titolari di legge 104/92 che tutela le invalidità), ma anche con la burocrazia e le scelte della politica spesso posticce incomplete, inspiegabili se non con poco nobili motivazioni.

Si sapeva già che il citato DL 105 del luglio scorso non prevede la possibilità – per coloro che sono stati certificati temporaneamente inidonei ad espletare l’ordinaria attività lavorativa essendo sovraesposti al rischio di contrarre il Covid 19 – di avvalersi di periodi di assenza equiparati al ricovero ospedaliero, come invece il decreto sostegni varato dal Governo il 19 marzo u.s. aveva riconosciuto fino al 30 giugno 2021.

In questo modo veniva sanato un vulnus che il DPCM 2 marzo 2021 non aveva previsto, in quanto non aveva rinnovato analoga previsione normativa che invece era contemplata all’art. 481 della legge di bilancio 2021 n°178 del 30/12/2020. Con decreto 105 questo “vulnus” ritorna e cambia tutto un’altra volta, solo smart working e fino al 31 ottobre ma se un “fragile” si assenta per malattia o per evitare di contrarre il virus, deve adesso fare ricorso al periodo di comporto contrattuale: se perdura lo stato di emergenza e lo esaurisce può finire prima a metà emolumenti e poi senza stipendio del tutto. 

Il motivo lo spiega l’INPS con circolare 2842 del 6 agosto u.s.: non ci sono fondi a disposizione.

Esattamente l’INPS ci informa di non avere soldi per protrarre questa tutela sanitaria a favore di lavoratori gravemente ammalati, soggetti a terapie immunodepressive o chemioterapiche.

Nello stesso tempo si viene a sapere da giornali e TV che il reddito di cittadinanza resta inalterato sine die: chi lo ha finora percepito continuerà dunque a ricevere l’emolumento mensile, molti pur avendo rifiutato opportunità di lavoro, mentre nessuno ha spiegato se dello stesso privilegio potranno usufruire i cd. “navigator”, una categoria di procacciatori di impiego che una parte politica ha voluto e difende nonostante l’evidente bilancio fallimentare del compito assegnato. Valga la conclusione di un saggio’ ad hoc’del Prof. GB Sgritta della Sapienza di Roma: “Che il Rdc sia finanziariamente sostenibile prima e dopo il 2021, stante la situazione economica e l’instabilità del quadro politico, è al momento imprevedibile; che possa contribuire a semplificare la giungla delle indennità, degli assegni, dei sussidi nazionali e locali, anche questo è, allo stato, improbabile. Ciò che certamente non potrà fare è abolire la povertà”.

Non si ha notizia finora di eventuali ripensamenti, tutto continua all’insegna del rinvio dello status quo.

Ma sorge spontaneo l’obbligo morale di comparare questo trattamento protettivo e dispendioso con la riposta negativa dell’INPS che nega ai lavoratori fragili la tutela sanitaria finora riconosciuta. Circolano nel corpo sociale molte ingiustizie causate dall’assenza di etica nelle decisioni politiche. Qualcuna, come quella descritta, appare francamente insopportabile. Non è giusto che i deboli soccombano sempre e speriamo che qualcuno si metta presto una mano sulla coscienza.