Il bluff di Salvini

Il deputato e costituzionalista Ceccanti ha riassunto, in tarda serata di ieri, le questioni collegate alla proposta di Salvini in ordine al taglio dei parlamentari e al ricorso immediato alle urne. Riportiamo integralmente la nota, il cui carattere di immediatezza, sulla scia del dibattito e delle votazioni svoltisi in Senato, non toglie completezza e rigore all’esposizione.

 

 

La giornata termina con la sconfitta totale di Salvini. La capigruppo Camera calendarizza il taglio dei parlamentari il 22 agosto, dopo che Conte si sarà dimesso e quindi la cosa sarà sospesa fino alla chiusura della crisi.

 

E’ prevalsa la tesi giusta secondo cui la crisi è già sostanzialmente aperta e quindi hanno precedenza le comunicazioni del Presudfnte del Consiglio.

 

La proposta di Salvini era un bluff propagandistico per due motivi.

 

Il primo si è già scoperto ed era la crisi di governo che lui stesso ha provocato e che non poteva far calendarizzare il taglio prima della soluzione della crisi.

 

Del taglio, della sua possibile votazione, insieme ad altri provvedimenti integrativi, si potrà parlare solo se ci sarà un nuovo Governo a partire dalle dimissioni di Conte al termine della seduta del Senato del 20 agosto.

 

Il secondo è il grave problema politico ma anche costituzionale che si sarebbe aperto.

 

Se la Camera avesse votato il 19 agosto, come ben si capisce dai primi articoli della legge 352/1970, il testo sarebbe uscito sulla Gazzetta solo per pubblicazione notiziale, non per entrare in vigore. Di sicuro perché al Senato è già passato solo con la maggioranza assoluta e non coi due terzi.

 

Poi il timing previsto dalla legge è questo: tre mesi per chiedere il referendum; fino a un mese per la Cassazione per esaminare le eventuali richieste e qualche altro giorno per eventuali ricorsi; fino a 60 giorni per indire il referendum; fra 50 e 70 giorni per svolgerlo; alcuni giorni per la proclamazione del risultato e poi per eventuali ricorsi; poi qualche giorno per la proclamazione; quindici giorni di vacatio e due mesi per i collegi (norma transitoria e legge 51/2019).

 

Alla fine dei conti ci vogliono circa 5-6 mesi dall’ultimo voto della Camera se non c’è il referendum e 10-11 se invece si svolge.

 

La proposta Salvini avrebbe quindi comportato il voto della riduzione, ma senza effetti immediati. Le nuove Camere appena elette sarebbero state subito delegittimate dai nuovi numeri della riforma.

La decisione dei capigruppo elimina in radice questo scenario pericoloso dal punto di vista politico e costituzionale.

 

Il bluff di poche ore è finito.