Al centro del centro

Il centro non è preambolo ma azione. Il centro oggi ha un nome e un cognome: si chiama Mario Draghi.

Sto seguendo con vivo, partecipe interesse il lungo dibattito sulla collocazione dei cattolici impegnati in politica, tra aneddoti, ricordi, rievocazioni, esperienze, visioni, progetti, speranze.

“Centro” è il  leit motiv, la parola magica ora occultata con malcelato distacco, ora rivendicata per definire un posizionamento. Ma è anche la storia, il passato, un presente più intenzionale che reale, un’idea di futuro: in ogni caso un luogo di transito obbligato per misurare e commisurarci.

I corsi e ricorsi storici consentono aspettative, lusinghe e ambizioni ma – mutatis mutandis – nulla sarà come prima: anche se i valori sommi restano, i principi ispiratori sono le molecole del nostro DNA,  è il contesto esterno che ce lo impone, l’evoluzione sociale, sono i codici espressivi e semantici che dettano regole diverse, i temi cambiano anche se le radici sono forti e solidamente piantate.

Ne ha preso atto la Chiesa a partire dal Concilio Vaticano secondo e fino a Francesco: “i tempi cambiano e anche noi dobbiamo cambiare con essi”. Mi domando se non sia doveroso per un cattolico prendere atto della realtà e assecondare questa deriva: “Adaequatio rei et intellectus” .

Si tratta della definizione della “verità come corrispondenza”, di cui ci parla San Tommaso ma che è condivisa da tutti coloro che muovono da una concezione realistica della conoscenza, sia partendo da Platone o da Aristotele o da una visione fenomenistica: non è una digressione filosofica, è il fondamento del nostro “essere, oggi”

Molto di quello che si dice e si scrive sul centro soffre di un condizionamento oggettivo: la dimensione del vivere – che lo si voglia o no – nel suo continuo divenire.

E il pathos che ci spinge ad occuparcene risente dei vissuti personali, esperienze, memoria del passato, prospettive di valutazione: tutto ciò forma un inconsapevole retropensiero soggettivo che è l’aspetto speculare di questo condizionamento. Un gioco di rimandi inconcludenti tra specchi che si fronteggiano.

Il lungo, interminabile dibattito che ne può derivare ha le sembianze di una impegnativa partita a scacchi, senza vinti né vincitori: disquisendo sull’essere, l’essere stati o il dover essere non portiamo luce per rischiarare i coni d’ombra delle valutazioni soggettive: immaginiamo di ampliare il campo delle opzioni, l’approfondimento dei teoremi e delle ipotesi, diventando ciascuno un isolato depositario di verità inconciliabili. Paradossalmente c’è più frammentazione al centro che nelle polarizzazione degli estremi.

Ho colto persino atteggiamenti di velato livore in certe disamine senza prova: si formano cenacoli per soli iniziati e si litiga sulle parole senza che la realtà ne tragga giovamento. Direi: basta esegesi.

Il centro politico è nelle idee ma soprattutto nei fatti: occorre una certa flessibilità di approccio per accettare questo assioma. 

E’ un valore che si forma e si riforma nel tempo, come traguardo empirico da perseguire.

La polarizzazione e la personalizzazione della politica generano sparigliamento, il centro è sfarinato un po’ di qua e un po’ di là, non regge alla prova dei fatti e non sempre mantiene una sua consistenza organica.

Paradossalmente si ricompone ma in modo indeterminato, non per appartenenze , quando il Paese ha urgente bisogno di stabilità e governabilità, dopo ondivaghe oscillazioni.

Passa più dalla testa di un uomo saggio, equilibrato, carismatico, lungimirante che da estenuanti tavoli di concertazione sui comuni denominatori simbolici e lessicali.

Il centro non è preambolo ma azione. Il centro oggi ha un nome e un cognome: si chiama Mario Draghi.

Ed è partendo proprio dall’indicazione del bagaglio culturale che il politico oggi deve possedere, riassunto nelle tre virtù politiche della conoscenza, del coraggio e dell’umiltà che Draghi compie un’operazione che ignora i piani per elevare le altezze.

Il centro non ha una dimensione orizzontale ma verticale: è elevazione verso la moderazione, la saggezza., l’equilibrio, la temperanza non disgiunti da valori etici che gli sono a un certo punto fondativi: la rettitudine, la competenza come dovere, la responsabilità come missione, la giustizia sociale, il rispetto, la dignità della persona. L’esame di coscienza e “fare le cose per bene” come ha scritto Mario Rigoni Stern.

Mi chiedo quanto questa prospettiva – senza essere conclamata, connotata o denotata- sia distante dall’ispirazione fondativa del cattolicesimo sociale.