Diciamoci la verità. Con il decollo del Governo Draghi e dopo l’irruzione del trasformismo come  prassi politica e parlamentare prevalente nel nostro paese dopo il voto del marzo 2018, è del tutto  evidente che la geografia politica italiana è destinata a cambiare. E in profondità. Già in vista delle  prossime elezioni politiche. Certo, non tramonteranno del tutto i capi politici attuali ma è di tutta  evidenza che nasceranno altri partiti, altri contenitori e altre liste. In questa cornice, un progetto di  centro è nelle cose, ovvero una forza politica di centro che sia in grado di declinare soprattutto  “una politica di centro” non può non decollare. A tre condizioni, però. 

Innanzitutto che sia realmente in grado di declinare una “politica di centro”, senza perdersi solo  nei posizionamenti tattici e nella pura ricerca del potere. E quindi, capacità di fare sintesi, battere  alla radice ogni sorta di radicalizzazione del conflitto politico, cultura della mediazione, rispetto  delle istituzioni democratiche e senso dello Stato, impianto riformista, cultura di governo e, non  ultimo, una classe dirigente di qualità e non frutto della improvvisazione, del pressapochismo e  della casualità che sono stati il classico prodotto di un approccio populista e demagogico. Come  l’esperienza dei 5 stelle ha platealmente e pubblicamente confermato in questi anni. 

In secondo luogo non può che essere un partito/movimento/luogo politico plurale. Con tutto il  rispetto per i movimenti e i partiti identitari, frutto di un’altra stagione storica e politica, il futuro  partito di centro non potrà che essere sintesi di sensibilità, pulsioni e culture diverse che si  riconoscono in un progetto politico e di governo. E quindi stop ai tentativi, peraltro condotti pur  sempre in buonafede dai singoli protagonisti, che fanno della sola identità una ragione esclusiva  della propria presenza politica. Tentativi che, purtroppo, si sono sempre, e puntualmente, rivelati  politicamente irrilevanti ed elettoralmente fallimentari.  

In ultimo, ma non per ordine di importanza, una realtà politica federativa e plurale non può che  avere un “federatore” come punto di riferimento pubblico e politico. Un “federatore” che sia in  grado di rappresentare tutte le varie sensibilità politiche, sociali, culturali e anche territoriali che si  riconoscono nel progetto politico del nuovo centro.  

Ed è proprio in quest’ottica che la tradizione politica e culturale del cattolicesimo popolare e del  cattolicesimo sociale può e deve continuare ad avere un ruolo protagonistico e decisivo per la  costruzione di un orizzonte democratico e riformista nel nostro paese.  

Contro la deriva populista e trasformistica che ormai ha contagiato larghi settori della politica  italiana, tanto a destra quanto a sinistra.