Alcuni giorni fa il prof. Angelo Panebianco ha riproposto dalle colonne del Corriere della Sera la tesi della necessità di avere nella politica italiana un “centro”. Un centro, però, almeno come mi è parso di capire, che di volta in volta sarebbe decisivo per dar vita alla potenziale coalizione di governo. Il tutto si giustificherebbe, com’è ovvio, con il ritorno del sistema proporzionale e il congedo definitivo da tutto ciò che è riconducibile al maggioritario. 

Ora, che il centro o il centrismo nella politica italiana abbiano avuto un ruolo politico decisivo non c’è alcun dubbio. E non solo per la cinquantennale esperienza della Democrazia Cristiana ma anche perché ogniqualvolta prevale la radicalizzazione della lotta politica chi ne paga le conseguenze maggiori e’ sempre e solo la garanzia della governabilità. E questo perché e’ del tutto evidente che la “cultura di centro” e la “politica di centro” non perseguono mai l’obiettivo del “tanto peggio tanto meglio” ma, al contrario, la costante e tenace ricerca della mediazione e della composizione degli interessi contrapposti. Per questo si rende necessario la presenza di una formazione politica di centro. 

Ed è proprio su questo versante che è bene richiamare l’attenzione e fissare un paletto chiaro. Perché anche in un sistema proporzionale o semi proporzionale, un partito o una formazione politica che riconduce la sua esperienza al centro non può ridursi ad essere un protagonista del peggior trasformismo. O meglio ancora, un luogo politico che si rende disponibile per qualsiasi alleanza pur di stare al governo. Certo, in una stagione trasformistica come quella contemporanea il richiamo alla coerenza politica e parlamentare e’ quasi un atteggiamento blasfemo. E, di conseguenza, tutto è possibile pur di stare al potere e conservare il proprio potere a prescindere da qualsiasi coerenza e lungimiranza politica. Appunto, l’apoteosi del trasformismo. Ma l’elemento che politicamente vale riaffermare, e con forza senza farsi condizionare dalle sirene trasformistiche che caratterizzano pesantemente la dialettica politica attuale, e’ che anche la Dc era un “partito di centro che guarda a sinistra”. Come lo fu il Ppi di Martinazzoli e di Marini dopo la fine della Dc. Mentre esisteva anche un centro, almeno nella seconda repubblica, che guardava, del tutto legittimamente, a destra. Come il Ccd di Mastella e Casini, l’Udc di Cesa e Casini e quel che resta oggi di Forza Italia di Berlusconi e di tutto ciò che ruota attorno a questo ex grande partito. 

Ecco, ho ricordato questi passaggi essenziali per arrivare ad una conclusione che non può essere confutata con motivazioni di puro potere. E cioè, anche un ipotetico e consolidato “partito di centro” ha un senso non solo perché ritorna, prima o poi, il sistema proporzionale ma anche e soprattutto perché sarà un elemento decisivo e qualificante per riaffermare e dare un profilo serio e credibile ad una coalizione di centro sinistra o ad una alleanza di centro destra. Solo se il centro ha un progetto politico ha un senso che ritorni con un partito e con una soggettualita’ politica. Tutto il resto è solo trasformismo e voltagabbana.