Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Fernando Ayala

Tre settimane fa, il presidente Sebastián Piñera aveva dichiarato che il Cile era «un’oasi» nel mezzo di un’America Latina convulsa, con tante crisi economiche, preda di violenza e instabilità politica, in netto contrasto con un ordine macroeconomico e con la stabilità politica. Aveva assolutamente ragione. Il Cile, lungo più di 4.000 km, chiuso dal deserto di Atacama a nord, dall’Oceano Pacifico a ovest, dall’imponente catena montuosa delle Ande a est, dal ghiaccio di Patagonia, Capo Horn e Antartide al sud, è più un’isola che un’oasi, ma solo per la sua geografia.

Il 18 ottobre l’isola/oasi/Paese-alla-fine-del-mondo è esploso così come di solito fanno i suoi vulcani, causando questa volta un cataclisma/tsunami sociale che non sappiamo come andrà a finire. La classe politica cilena si è trovata priva di parole, senza sapere come reagire a un cambiamento di scenario totale, messa a confronto con tante richieste accumulate per decenni e di cui si invocava l’immediata attuazione. Nella storica marcia che si è tenuta il 25 ottobre a Santiago e in altre città, che ha riunito un totale di circa 2 milioni di persone, un manifestante ha riassunto nel suo cartello il senso della protesta: «Ci sono così tante cose da rivendicare, che non saprei nemmeno cosa scrivere qui».

L’esperimento socioeconomico iniziato dopo il colpo di Stato che ha demolito il governo costituzionale di Salvador Allende nel 1973 diede l’avvio anche a una grande trasformazione culturale supportata dal terrore di una dittatura che non aveva scrupoli nell’uccidere in Cile e all’estero, come fecero col generale Carlos Prats, a Buenos Aires, con l’ex ministro degli Esteri, Orlando Letelier a Washington o col tentato omicidio di Bernardo Leighton, ex vicepresidente del Cile, e di sua moglie a Roma. Dico culturale, perché le due generazioni successive alla dittatura sono composte da giovani che hanno assunto una realtà che sembrava difficile da cambiare, il tutto addolcito dall’illusione del consumo e del facile successo.

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