“ Il Contratto per il Governo del cambiamento”: una “ cintura di castità” che qualcuno prova a spezzare

Le diatribe sul Contratto sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in realtà, riaprono una questione ben più importante su cui si sorvola

Il “ Contratto per il Governo del cambiamento” sembra diventare sempre più una  “ cintura di castità”. Ha aiutato a formare il Governo 5 Stelle e Lega. Adesso, mostra soprattutto il segno della costrizione mentre il rifarsi ad esso si fa  più esplicitamente ricorrente.

Un richiamo dagli accenni sempre maggiormente divisivi, però. Il clima tra le due forze di governo, infatti, si surriscalda e l’aggancio alla pietra angolare su cui insiste l’ accordo tra Di Maio e Salvini rischia di divenire rovente.

In discussione ci sono il provvedimento sul Reddito di cittadinanza, la contrapposizione tra la ministra neo leghista Giulia Buongiorno  ed il pentastellato Guardasigilli Alfonso Bonafede sulla prescrizione e il decreto sulla sicurezza.

Le diatribe sul Contratto sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in realtà, riaprono una questione ben più importante su cui si sorvola: la partecipazione attiva dei parlamentari alla formazione delle decisioni. Ma si sa, la cura ed il rispetto degli aspetti istituzionali fanno sempre un passo indietro a fronte della contingenza stressante della politica ed ai rapporti di forza tra i partiti.

Luigi Di Maio è quello che più frequentemente tira in ballo l’accordo di Governo . La sua linea del fronte si è oramai sostanzialmente ristretta al Reddito di cittadinanza. Ultima sua Maginot per provare a rinsaldare la propria posizione interna al Movimento dei 5 Stelle e ad arginare lo straripante Matteo Salvini.

Il capo della Lega, stando ai sondaggi d’opinione, ed alla sua incombenza presenzialista, appare come l’autentico vincitore nella competizione tra i due. Uno scontro pugilistico sotto banco del quale nessuno ha suonato ufficialmente il gong d’inizio e non è neppure chiaro quando qualcuno potrà suonare quello della fine.

Eppure, Matteo Salvini paga l’asimmetria tra i sondaggi di opinione e l’ umore dell’elettorato e i voti effettivi su cui la Lega può contare sugli scranni di Camera e Senato. Senza i 5 Stelle non c’è altra maggioranza possibile e gestibile, salvo fantasiose soluzioni, al momento assai poco praticabili.

L’altro leghista di peso, Giancarlo Giorgetti , nonostante questo, ha cominciato, però, a fare un ragionamento largamente condivisibile sulla necessità di trasformare il Reddito di cittadinanza in aiuto alle imprese. Invece di vederlo diventare un intervento a pioggia a favore dei senza lavoro, come sembra costretto per forza a trasformarsi.  

Nessuno crede, infatti, che sia possibile fare proprio in Italia quel che non è riuscito in tanti altri paesi dopo anni di lavoro e d’investimenti impegnati e impiegati nel tentativo di creare un meccanismo grazie al quale si riesca, effettivamente, a far incontrare l’offerta dei posti di lavoro con la domanda degli inoccupati e dei disoccupati.

Permangono i dubbi che, dopo essersi rivelati fallimentari per decenni, nei pochi mesi che ancora restano per arrivare alla Primavera 2019, i neppure ancora neonati nuovi centri del collocamento riescano a riorganizzarsi e ad essere presi sul serio da imprese e da quanti sono  in cerca di lavoro.

Luigi Di Maio risponde al sottosegretario leghista Giorgetti appellandosi burocraticamente al Contratto sottoscritto, con tanto di carta notarile, con il collega Salvini.  

Egli non ha altra arma disponibile se non quella di minacciare indirettamente una crisi di governo mentre assiste all’apertura di dissonanze sempre più ampie e rumorose nel partito alleato. Salvini non può che inviargli messaggi di circostanza sui temi più caldi perché sa che un’effettiva alternativa non è praticabile al momento.

Può darsi che Giancarlo Giorgetti dia per scontato che il governo giallo verde abbia, non dico le ore, ma almeno i mesi contati e che, molto probabilmente, pensi che un’esperienza  varata in maniera del tutto inattesa ed inusuale dopo il 4 marzo rischi comunque di caracollare con le elezioni del prossimo anno, se non prima.

Di sicuro, molti ambienti della Lega costatano di aver sottoscritto il Contratto ignari del fatto che le vicende successive li potessero potenzialmente veder raddoppiare i consensi e che l’accordo con il Movimento fondato da Beppe Grillo finisse per rivelarsi così vincente, soprattutto per loro.

In questo mutata situazione, sia pure basata al momento solo su sondaggi di opinione, in parte confermati in pieno dai risultati delle elezioni parziali del Trentino, provincia strappata alla sinistra da un loro rappresentante, un po’ meno da quelli dell’Alto Adige, dove la Lega è cresciuta, ma non ha stravinto, forte sta crescendo nel mondo dell’impresa, in particolare quello delle regioni in cui i leghisti hanno maggior radicamento, la pressione affinché il finanziamento destinato al Reddito di cittadinanza sia impiegato diversamente.

Sono convinto che la richiesta del sottosegretario Giorgetti sia da condividere perché i tanti miliardi previsti per il Reddito di cittadinanza messi, invece, a disposizione di aziende pronte ad assumere stabilmente giovani non occupati, o malamente occupati, potrebbero rivelarsi molto più rispondenti alla necessità di far crescere l’occupazione e, al tempo stesso, allargare la massa finanziaria in stipendi utile a sostenere i consumi.

Questa mutata strategia costerebbe un prezzo altissimo a Luigi Di Maio sia in termini d’immagine, sia per quanto riguarda, più in sostanza, la gestione politica di una porzione qualificante del programma di governo dei 5 Stelle e dei conseguenti finanziamenti.

E’ chiaro che una buona parte di quei fondi, infatti, non finirebbero più solamente verso il Mezzogiorno, dove i 5 Stelle hanno ottenuto un inatteso, clamoroso successo elettorale e di adesione. Bensì, verrebbero dirottati principalmente sulla struttura produttiva del Nord, oggettivamente in grado di garantire una maggiore occupazione.

Tra i leghisti aumentano le voci a sostegno della strategia proposta da Giorgetti e va da sé ritenere che, su questa china, la posizione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio possa raccogliere più consensi rispetto a quella di un Salvini costretto a guardare al quadro complessivo della tenuta del Governo.

Una crisi adesso, non voluta e non pilotata da lui, finirebbe per mettere in difficoltà la posizione di Salvini, anche se sono note le sue capacità d’acrobata della politica. Si potrebbe trovare costretto a pagare quel prezzo che non intende riconoscere a Silvio Berlusconi e a Giorgia Meloni per tornare pienamente nell’alveo del Centro destra, sia pure da egli stesso guidato. Sa, comunque, che quel prezzo non è in grado di pagarlo al momento perché, neppure con Berlusconi la Meloni, sarebbe in grado di raccogliere in Parlamento i voti necessari ad ottenere un voto di fiducia.

Di Maio ha comunque formalmente ragione: il Contratto per il Governo del cambiamento trova nel reddito di cittadinanza uno dei principali punti di riferimento. Giorgetti ha interesse a non dare particolare importanza alla cosa. Così, a oggi, è difficile prevedere lo sbocco della dialettica in corso lungo un versante cruciale sia per la Lega, sia per i pentastellati.

Probabilmente, saranno costretti a restare ancora insieme fino alle elezioni europee. A meno che non si mettano d’accordo per chiudere l’esperienza Conte a cavallo di fine anno per andare verso un’unica giornata elettorale a maggio quando si potrebbe votare, assieme, per le europee e per il Parlamento nostrano, con lo stesso Governo di cui Salvini e Di Maio sono i due Vice Presidenti. Anche su questo, gli interessi di entrambi potrebbero coincidere.

Complicata anche la storia del Contratto in materia di prescrizione su cui è in atto un duro braccio di ferro tra la ministra della semplificazione e la Pubblica amministrazione Giulia Buongiorno e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

“ È necessaria un’efficace riforma della prescrizione dei reati, parallelamente alle assunzioni nel comparto giustizia: per ottenere un processo giusto e tempestivo ed evitare che l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia”. Questo è quanto, sul punto, recita il Contratto.

La Buongiorno può solo obiettare che non se ne debba parlare nei termini concepiti dalla proposta dei pentastellati orientati ad eliminare la prescrizione con la sentenza di primo grado.

Anche Matteo Salvini riconosce  esplicitamente che il punto è tra quelli previsti dal suo accordo con Di Maio. Stretto com’è dalle posizioni estremamente polemiche della ministra Buongiorno contrapposta agli altrettanto polemici 5 Stelle, però, è forzato a dichiarare, il più salomonicamente possibile: “ Le riforme non si fanno a colpi di emendamenti”.

Di più non può dire perché, se smette di dosare con il misurino gli interventi da cui dipende la vita del Governo,  rischia di far tornare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al punto in cui, nel corso di poche ore prese vita il governo giallo verde. Cioè a Carlo Cottarelli. Non credo sia una soluzione che ecciti Salvini più di tanto.

Vi sono poi le discussioni accalorate in atto tra i parlamentari dei Cinque Stelle sulla questione sicurezza.

Il Contratto di governo ha un capitolo specifico intitolato “ Sicurezza, Legalità e Forze dell’ordine”. Non vi si parla dell’autodifesa e di una maggiore liberalizzazione dell’uso delle armi da parte dei singoli cittadini. Anzi, vi si dice proprio il contrario e, cioè, che devono essere rafforzate le forze che assicurano l’ordine pubblico.  

C’è da chiedersi se l’oggettiva, comune costrizione dei due partiti di governo non porti a far sì che il ricorrente richiamo all’accordo tra i due Vice Presidenti del Consiglio non diventi quel corrimano cui ci si attacca solo in caso di sbalzi o di vento forte e in altri occasioni, invece, sia destinato a passare sotto silenzio o, almeno, ad essere interpretato, piuttosto che applicato.

Siamo intanto informati, infatti, che alcuni dei pentastellati al Senato non accettano  di votare il provvedimento Sicurezza e non sanno ancora come si potranno comportare nel caso in cui il Governo dovesse decidere di porre la fiducia su un tema divenuto tanto controverso.

Così, il confronto animato in atto all’interno degli stessi Cinque Stelle fa nuovamente riflettere su quanto il “ Contratto per il Governo del cambiamento”  finisca per incidere, e profondamente, sul ruolo che la Costituzione assegna ai singoli parlamentari e ai gruppi di Camera e Senato in cui essi confluiscono.

L’accordo, infatti, potenzialmente mortifica di molto tale ruolo, previsto com’è che, di fatto, ogni loro iniziativa debba essere avviata solo a seguito della preventiva approvazione dei contraenti il Contratto. Nel caso dei Cinque Stelle, sappiamo che una tale approvazione debba essere inoltre rilasciata dalla Piattaforma Rousseau, entità esterna alle dinamiche parlamentari.

E’ questa una questione sulla cui essenza è mancata la sufficiente attenzione da parte di tutti, a partire dai commentatori politici. C’è la possibilità che ci si trovi di fronte ad un “ vulnus” destinato a toccare un punto ben definito dalla Carta costituzionale. Vedremo!

Una valutazione generale è comunque già possibile: al di là delle tante dichiarazioni di principio, c’è chi non ama davvero  la democrazia parlamentare e non conosce proprio il gusto della politica che è dialettica, confronto aperto sulle idee e sugli interessi.

La conseguenza è che anche i “ nuovi”, i riformatori, gli appassionati della democrazia diretta e digitale finiscono per assumere gli stessi comportamenti, ancora più gravi perché contraddittori con le loro apodittiche dichiarazioni di principio, dei vecchi capi e capetti della parte finale della cosiddetta Prima repubblica e degli stessi capi a capetti della Seconda, quelli dei partiti “ padronali” per intenderci, tanto criticati fino ad oggi