Articolo pubblicato sulle pagine della rivista il Mulino a firma di Hongbo Zhang

Il 2020 è l’anno lunare cinese del Topo, il 50° anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Italia e l’anno del turismo e della cultura in entrambi i Paesi. Sono tornato in Cina dall’Italia prima di Natale per incontrare a Pechino e a Shenzhen alcuni miei clienti, e certo non potevo sospettare che un’epidemia mandasse in fumo tutti i miei piani.

Ogni giorno si segnalano nuovi pazienti e nuovi decessi dovuti al Coronavirus, o Covid-19. Nel mio Paese quasi un miliardo e mezzo di persone sono costrette in casa. Ansia, rabbia, tristezza e panico sono inevitabili e i cinesi si sono trovati loro malgrado a trascorrere le vacanze più lunghe di sempre. Molti stanno cercando di sopravvivere continuando a fare il loro lavoro anche in un periodo di stagnazione economica. Gli studenti devono ricorrere alle lezioni online e le famiglie devono trovare la maniera per far fronte ai bisogni primari.

Da circa un mese mi ritrovo bloccato nel mio appartamento a Lanzhou, nel Nord della Cina. Subito dopo avere appreso dell’epidemia, ho ridotto al minimo le mie uscite, limitandole agli acquisti di prima necessità, ma le scorte nei supermercati iniziano ormai a scarseggiare. Ingresso e uscita dei residenti vengono monitorati da vicino, controllando i movimenti delle persone e la loro temperatura corporea, e la polizia utilizza quotidianamente droni e Gps per individuare quanti non portano le mascherine e per spingerli a indossarle. I ristoranti sono chiusi, i rivenditori forniscono verdure e carne attraverso i social media e le app. In alcune zone rurali, le piattaforme di shopping online usano droni per offrire servizi di consegna a domicilio, riducendo costi e contatti diretti con le persone. Le comunità iniziano gradualmente a organizzarsi per acquisti di gruppo per spendere meno.

Dicerie e false informazioni diffuse su Internet sono state rigorosamente controllate dalla polizia. Cancellazioni di messaggi, blocchi di account e uso di parole in codice sono molto comuni tra i netizen. Ciò che si pubblica e si legge online è spesso in violazione delle regole. Vorrei leggere materiale in inglese o fare domanda per poter partecipare ad alcuni eventi internazionali, ma a volte da qui non riesco a farlo. Tuttavia, l’isolamento in casa mi ha concesso di trascorrere più tempo con i miei genitori, e alla fine questo potrebbe diventare il periodo più lungo passato insieme a loro dal 2006. Inoltre, ho approfittato di tutto questo tempo libero forzato per acquistare una tastiera ed esercitarmi al pianoforte.

La situazione a Wuhan è di gran lunga peggiore rispetto ad altre province. Negli ultimi due anni vi ho abitato per alcuni mesi e mi sono fatto molti amici lì. I parenti di uno di loro si sono ritrovati contagiati dal virus. All’inizio non potevano essere ricoverati, poiché i pazienti gravi giacevano nel corridoio dell’ospedale. Forte era la paura di infezioni incrociate nelle corsie durante il giorno, pertanto potevano solo fare la fila per ricevere iniezioni di notte. Pochi giorni dopo, quando l’ospedale è riuscito a ricoverare uno dei membri della famiglia, ho ricevuto questo messaggio sul mio telefono: «Ci sono troppe famiglie così. All’inizio, molte persone non riuscivano a vedere i medici e sono morte. Alcune si sono buttate nel fiume Yangtze. Altre si sono impiccate in casa. Ora i nuovi ospedali improvvisati hanno migliorato un po’ la situazione. Nel mio quartiere ci sono già diversi casi di infezione. Alcuni sono ricoverati in ospedale e altri sono morti. Nel raggio di cento metri intorno a me, più di una dozzina di persone è infetta. È molto pericoloso, dovrei stare attento anche quando apro la porta per prendere il cibo».

A causa dell’epidemia, alcuni pazienti con malattie croniche non sono in grado di rifornirsi di medicine e temono che il trattamento possa essere interrotto. Altri con malattie gravi non possono andare in ospedale per ricevere le cure necessarie e per alcuni di loro la vita è diventata drammaticamente difficile, anche solo per condurre le attività più normali. Attraverso i social media, in molti chiedono soluzioni per garantire i diritti fondamentali anche ai gruppi sociali più vulnerabili.

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