Il dibattito nel Pd fatica a consolidare la scelta del “nuovo Ulivo”. Quale linea in vista delle elezioni del 2023?

Sono tre gli scenari che si delineano in vista delle elezioni del prossimo anno: il campo largo, ovvero l’asse (indebolito) Pd-M5S; il Pd a vocazione maggioritaria, puntando (come?) al 30 per cento; il nuovo Ulivo, con la ripresa di una politica delle alleanze inclusiva (forse) dell’area di centro. Tuttavia, in quest’ultimo caso, una vera e credibile “cultura delle alleanze” passa solo attraverso il pieno riconoscimento politico della pluralità che caratterizza una coalizione. 

Ieri su queste colonne Cristian Coriolano ha centrato, come sempre, il cuore del problema politico, culturale e programmatico del campo alternativo alla destra. E questo anche perchè Coriolano, almeno così pare leggendolo, trasuda una raffinata ed intelligente cultura “basista” di derivazione democristiana che fa della “cultura delle alleanze” il perno attorno alla quale si può dischiudere il pensiero e il progetto di un partito popolare, riformista, di governo e autenticamente democratico. Ma, al di là della biografia di Coriolano, e per restare al tema principale, è indubbio che il Partito democratico è alla ricerca di una nuova e convincente bussola politica in vista delle elezioni politiche nazionali. E le strade che si presentano di fronte sono sostanzialmente tre e sono tutte sul tappeto. Nessuna delle quali, ad oggi, è pregiudizialmente esclusa.

Innanzitutto ci sono i fautori dell’alleanza organica e strategica con i populisti dei 5 Stelle. O meglio, di ciò che resta di quel partito sempre più sgangherato e misterioso. Una alleanza, almeno così pare a molti di noi, che non farebbe altro che riproporre le contraddizioni – tuttora irrisolte – di come isolare e archiviare definitivamente ed irreversibilmente la malapianta del populismo demagogico, antipolitico, giustizialista e manettaro nel nostro paese. Una deriva che si può sconfiggere solo ed esclusivamente rinnegando alla radice qualsiasi alleanza con il populismo. Di nuovo o di vecchio conio poco importa. Per questo molti di noi hanno anche parlato della necessità di vergare, per questa stagione politica, un nuovo “preambolo antipopulista”.

In secondo luogo c’è chi pensa ancora alla riproposizione della singolare “vocazione maggioritaria” del Partito democratico. E sono tutti coloro che sognano un Pd che veleggia attorno al 30% e chi più ne ha più ne metta… Una strategia che, al di là di chi la propone, rischia di disegnare una prospettiva che consegna quel partito ad una nuova stagione di isolamento e di solitudine, forte della sua arroganza politica e poco propenso a valorizzare il pluralismo politico, sociale e culturale che anima e caratterizza la nostra società.

E poi c’è la terza strada, la più concreta e forse anche la più democratica. Ed è quella di praticare e di inverare nella politica contemporanea una vera e credibile “politica delle alleanze”. Alleanze che, però, non sono concepite secondo la cultura gramsciana che vede un “partito principe” e i vari satelliti che ruotano attorno, semprechè siano ancora tollerati dall’azionista di maggioranza. Semmai, si tratta di percorrere una strada semplicemente alternativa. Ovvero, riconoscere la personalità, la cultura e la storia di altre tradizioni ideali e, con loro, costruire un progetto politico e un programma di governo. All’interno di questo contesto si può ricostruire una vera coalizione di centro-sinistra senza tentazioni goffamente egemoniche dove un solo partito distribuisce le carte a tutti. Una vecchia tentazione nota e collaudata nel campo della sinistra post comunista.

Ecco perchè, in vista delle ormai prossime elezioni politiche – al di là di coloro che pur di percepire ancora qualche mese in più lo stipendio parlamentare le vorrebbero celebrare alla vigilia delle prossime festività natalizie… – si tratta, adesso, di sciogliere un nodo squisitamente politico. E, in questa prospettiva, si inserisce anche e soprattutto il ruolo di un “centro” politico, riformista e di governo. Altrochè pensare di sterilizzarlo attraverso marchingegni ed escamotage che si sono già rivelati fallimentari nel passato. Una vera e credibile “cultura delle alleanze” passa solo attraverso il pieno riconoscimento politico della pluralità che caratterizza una coalizione. L’alternativa è la solita minestra post comunista della “superiorità morale” della sinistra a cui tocca distribuire, per uno strano diritto divino, le pagelle di novità, di competenza e di onestà. Un dejà vu che non fa neanche più notizia.