L’impegno dei cattolici democratici e dei cattolici popolari contemporanei lo potremmo riassumere così: il dovere di esserci. È una riflessione, questa, che non è legata soltanto alle commemorazioni e al ricordo. Perchè la conclusione che emerge da questi momenti – rileggendo il magistero dei cattolici democratici e dei grandi democratici cristiani del passato – è molto semplice: emerge, cioè, in modo inequivocabile la necessità, se non appunto il dovere, di esserci. Cioè di essere presenti nella vita pubblica italiana. E questo perchè non solo quelli che hanno contribuito a demolire e, a volte, addirittura a distruggere l’esperienza politica dei cattolici democratici adesso, seppur in chiave postuma, ne riabilitano la grandezza e il ruolo. Ma sono ormai in molti, ogniqualvolta il tema cade sui cattolici, sulla qualità della classe dirigente cattolico democratica e sulla intera cultura del popolarismo di ispirazione cristiana, che ne evidenziano lo spessore, che ne invocano la presenza e che, soprattutto, ne richiamano l’importanza. È sufficiente sfogliare i grandi organi di informazione e ascoltare, seppure distrattamente, i vari intrattenitori degli infiniti talk show televisivi per rendersene conto. 

Certo, quando si confrontano quella politica, quella cultura e, soprattutto, quella classe dirigente con lo squallore e la miseria contemporanea, anche il più incallito avversario di quella esperienza è portato a riabilitarla e a rimpiangerla. 

Ora, tutti sappiamo che il “nostro” mondo culturale è attraversato da mille diffidenze, da molte incomprensioni e da svariate ricette sul da farsi. C’è, per semplificare, chi percorre in perfetta buona fede e con grande generosità la formazione di un nuovo partito autonomo e organizzato – malgrado il regolare fallimento di circa una sessantina di tentativi negli ultimi 15 anni -, c’è chi ritiene che la presenza di quest’area politica e culturale debba organizzarsi nei partiti già presenti sulla scena pubblica e, infine, c’è chi ritiene che, tutto sommato, si può tranquillamente continuare un’azione di testimonianza nella società. Con il rischio concreto, però, che sia una presenza politicamente sterile ed impotente. 

Ma, adesso, almeno su un punto non possono non convergere le varie correnti di pensiero. E cioè, quest’area culturale non può più restare alla finestra. Nè si può compiacere degli applausi postumi di chi l’ha delegittimata per troppi anni e sistematicamente. Questo patrimonio culturale va velocemente organizzato, seppur nel rispetto del pluralismo che lo caratterizza già sin dai suoi albori, ma non può più restare rinchiuso nel recinto testimoniale o della mera memorialistica. Ognuno seguendo la sua vocazione, il suo talento e la sua convinzione politica e culturale. Nel rispetto, lo ripeto, del pluralismo che ci caratterizza da sempre. Ma dobbiamo esserci. Senza ulteriori ripensamenti e attese dell’arrivo del salvatore della patria o del demiurgo di turno. Lo richiede la nostra storia e, soprattutto, è un dovere nei confronti di chi ci ha preceduto e che ha lasciato un segno profondo e fecondo nella vita democratica di questo paese.