Il gesto di Krajewski riapre il confronto tra pastori e popolo

Credo, perciò, che il gesto di Krajewskj riapra il confronto tra pastori e popolo cristiano sui compiti affidati alla politica, “la forma più alta di carità”, che non possono essere surrogati da nessuno.

La coraggiosa e del tutto inedita iniziativa del card. Konrad Krajewski, dettata da indiscutibili urgenze umanitarie, pone una serie di problemi che vanno affrontati con rigore. Un buon cristiano può trasgredire una legge per amore e correndo i rischi connessi, ma un pastore deve sempre domandarsi come il suo gesto si possa configurare nel contesto civile. Persino Gesù, quando superava la legge mosaica, non ne calpestava la forma ma ne valicava i limiti.

Se avete dubbi, pensate alla mancata lapidazione dell’adultera, un capolavoro di intelligenza politica oltre che di amore misericordioso. Ricordo che un giorno l’Abbè Pierre a me e ad altre giovani teste calde che gli chiedevamo di raccontarci le sue avventure nella Francia del dopoguerra, quando costruiva palazzi del tutto abusivi per i senzatetto, disse, come era solito fare senza mezzi termini, di non provare ad imitarlo. “Io l’ho potuto fare perché scuotevo le coscienze e cambiavo la politica, voi no!”: pressappoco queste furono le sue parole.

Ora ne comprendo bene il senso profondo. Lui era un personaggio pubblico, parlamentare insignito della Legion d’Onore e quindi pienamente dentro al contesto politico del suo Paese, non un vescovo o un cardinale.

Credo, perciò, che il gesto di Krajewski riapra il confronto tra pastori e popolo cristiano sui compiti affidati alla politica, “la forma più alta di carità”, che non possono essere surrogati da nessuno. Dopo il ruinismo, è davvero l’ora che si inauguri una stagione diversa di protagonismo laicale, dove ognuno faccia fino in fondo ciò che gli compete.