Il manuale Cencelli e il ritorno del proporzionale.

 

Qual è il paradosso? Senza il ritorno al proporzionale si arriva allassurdità di ripartire gli incarichi e i ruoli politici e istituzionali con il vecchio manuale Cencelli e poi di indicare proprio nel proporzionale il male assoluto.

 

Giorgio Merlo

 

Del cosiddetto “manuale Cencelli” un po’ tutti ne hanno sentito parlare. Da svariati lustri. Chi fa politica lo conosce perfettamente. È un sistema, in sintesi, che prevede la ripartizione rigorosamente proporzionale degli incarichi di governo, di sottogoverno e di partito sulla base del peso delle varie correnti all’interno dei partiti stessi. Certo, questo vale nei partiti che conservano ancora uno straccio di democrazia interna perchè nei partiti personali, come ben si sa, non esiste nulla di tutto ciò. Lì l’unico criterio che conta è la radicale fedeltà al padrone, al capo indiscusso o al guru dove esiste. Ma anche nei cosiddetti partiti personali non mancano le faide interne, le rivalità personali e la lotte spietate di potere. E anche lì, pur mancando le differenze politiche che caratterizzavano le tradizionali correnti democristiane, socialiste o laiche – correnti di potere o correnti di pensiero poco conta – il manuale Cencelli diventa la carta decisiva per distribuire il potere. Nel partito e nelle istituzioni.

 

Ora, quello che stupisce e che amareggia è ascoltare quasi tutti i leader e i capi dei vari partiti, a livello nazionale come a livello locale, sentenziare che il manuale Cencelli è il male assoluto ed una prassi da condannare senza appello. Quando tutti sanno, ma proprio tutti, che quello resta il criterio decisivo ed esclusivo che viene praticato per selezionare la classe dirigente. Prima del voto e, soprattutto, dopo il voto. Allora, forse, è giunto il momento per chiarire definitivamente questo equivoco e sciogliere questa insopportabile ipocrisia. È appena sufficiente osservare, senza commentare, la formazione dei governi come delle giunte comunali o circoscrizionali per rendersene conto. Una rigorosa e spietata applicazione del metodo proporzionale.

 

Ecco, ho voluto ricordare questo piccolo particolare che affonda le radici in un passato ormai remoto, per arrivare ad una semplice e persin banale conclusione politica: e cioè, senza il ritorno di un sistema elettorale proporzionale noi arriviamo all’assurdità di ripartire gli incarichi e i ruoli politici e istituzionali con il vecchio manuale Cencelli e poi di indicare proprio nel proporzionale il male assoluto quando si tratta di sceglierlo come regola istituzionale per disciplinare il nostro sistema politico. Un controsenso non solo sotto il profilo formale ma anche e soprattutto su quello sostanziale.

 

Per questi semplici motivi è necessario, adesso, avviare una riflessione seria e non strumentale e nè ipocrita sulla futura legge elettorale. E cioè, senza un nuovo e rinnovato sistema elettorale proporzionale sarà la stessa qualità della democrazia a pagarne maggiormente le conseguenze. Meglio pensarci prima che sia troppo tardi.