Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano 

Nella costruzione di un mondo nuovo, l’Europa deve affermare la sua leadership. Lo deve fare a partire dal suo patrimonio di umanesimo, dalla sua tradizione politica e culturale, dalla sua vocazione originaria. È in fondo la stessa Europa che nasce senza confini, che guarda naturalmente al Mediterraneo, che ha cura dell’ambiente in quanto azione imprescindibile di un’ecologia integrale radicata nel suo cristianesimo. È l’Europa che molti vorrebbero tornare a sognare. Sul tema del futuro all’indomani del virus il Parlamento europeo ha avviato una serie di incontri pubblici via internet. Al primo, che si è tenuto ieri, hanno preso parte il filosofo Edgar Morin, lo scrittore Roberto Saviano e lo stesso presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. «Ho la sensazione — ha detto quest’ultimo — che l’emergenza ci abbia fatto intravedere gli elementi di un mondo nuovo. Ma se la politica non si libera dei condizionamenti del passato la spinta all’indietro sarà molto forte. Noi usciamo da questa crisi grazie al modello sociale europeo. Nessuno in Europa è rimasto escluso dalle cure. Altrove non è così. A parte lo sbandamento iniziale, l’Europa ha fornito una risposta unitaria. Certo, bisogna riconciliare le parole con la vita. A partire dalla definizione di crescita e di solidarietà. Dopo la guerra la ricostruzione europea l’abbiamo fatta con i soldi degli altri ma la classe dirigente allora era preoccupata di arrivare alla piena occupazione. Ora noi ci presentiamo con una grande massa di precari. Abbiamo bisogno di una regia, in questa fase, e questa regia è la dimensione pubblica, l’idea che interesse privato e collettivo possano stare insieme. È questa la nostra vocazione. L’abbiamo un po’ persa». Secondo Saviano «le imprese dei paesi totalitari stanno vincendo in questa crisi. L’idea che sta passando è che la democrazia sia un po’ un’idea da privilegiati, mentre quello che conta davvero è la sicurezza. L’Europa in questo può fare la differenza, per cultura, tradizione, identità… L’Europa sin dall’inizio non nasce confinata. Ma non può esistere democrazia se non si parla di diritti. E parlare di diritti significa anche parlare di come una azienda produce e di come paga i suoi lavoratori. La politica europea va rifondata in nome dei suoi principi e non secondo il principio del denaro e la logica degli offshore. L’Europa è diversa: era diversa nel pensiero dei suoi padri fondatori, poneva una via alternativa tanto al capitalismo quanto al socialismo reale. È una strada è ancora possibile». Nel corso dell’incontro Morin ha tenuto due lunghi interventi, che riassumiamo qui di seguito. (ma.be.)

La crisi di un’umanità che non riesce a essere umana

«Effettivamente abbiamo vissuto una crisi totale e pluridimensionale. Questo ci ha mostrato che c’è un destino comune e che la globalizzazione e l’interdipendenza non portavano con sé anche la solidarietà. Ci siamo resi conto che ciò ha effetto anche sulla nostra salute e sul nostro sistema sanitario: i nostri paesi europei si sono trovati ad essere completamente dipendenti per esempio da paesi come Cina e India per la fornitura delle mascherine, dei camici. Questo significa che dobbiamo alimentare la cooperazione all’interno della globalizzazione. Ci troviamo in un’epoca estremamente pericolosa. La coscienza del destino comune è, direi, la missione europea, lo è sempre stata, a partire da Montaigne, il quale diceva che ogni uomo era suo concittadino e difendeva gli indigeni per come venivano trattati. Questo umanesimo deve essere recuperato, deve rigenerarsi, per così dire, nella sua “terra patria”.

Abbiamo parlato di crescita. Ovviamente oggi si finge di essere in una crescita infinita: per crederci bisogna essere o matti o economisti… Naturalmente deve decrescere tutto ciò che è illusorio, come l’agricoltura industrializzata, l’economia di guerra… quello che deve crescere invece è l’economia sociale, che elimina l’uguaglianza e la disparità. È certo che, come sempre nella storia, bisogna passare alla resistenza, alla lotta fra il potere e quelle forze che in passato hanno saputo creare il welfare. Oggi l’equilibrio fra queste due forze è frantumato. È importante che si levi un nuova voce politica, a partire dalla questione ecologica. Qui c’è lo spazio per giganteschi investimenti. Ciò darà da mangiare agli uomini e potrà far bene alla loro salute, perché non dimentichiamo che molte persone muoiono a causa di un ambiente intossicato. In America latina si parla di “buen vivir”… si tratta di questo. Era un fermento già esistente prima della crisi. È chiaro che si sta cercando una nuova via. Quello che c’era prima non andava, per colpa di molti, anche delle istituzioni europee. Anche grazie alle direttive europee si sono ridotti i posti letto, si sono commercializzati gli ospedali. Prima della pandemia c’era una recessione generale; il pensiero politico si era degradato e c’era corruzione diffusa, soprattutto nei sistemi che noi chiamiamo un po’ stupidamente populisti ma che andrebbero chiamati totalitari. Gli stati totalitari hanno utilizzato le nuove tecnologie per il controllo. È accaduto anche in Europa. Eravamo già in un mondo in crisi, crisi del pianeta, della biodiversità. Noi siamo oramai dipendenti dai pericoli che noi stessi abbiamo creato. Ma penso che possa nascere una nuova politica in grado di unire ecologia ed economia, una politica verso la quale già i nostri giovano provano grande entusiasmo. Fino ad ora la globalizzazione è stata spinta da scienza, tecnologia ed economia, forze che ci hanno spinto verso il baratro. Ora c’è lo slancio per un nuovo pensiero, perché quello nato nel Novecento ha mostrato tutte le sue lacune, dal capitalismo al marxismo. Marx non ha visto le contraddizioni dell’umano, le sue emozioni, le sue aspirazioni, non ha considerato che accanto all’homo sapiens esiste anche l’homo demens

Ovviamente in tutto questo l’istruzione, l’educazione, giocano un ruolo fondamentale. Nella crisi abbiamo visto che non possiamo vivere senza le cassiere dei supermercati, i camionisti che trasportano i prodotti, gli infermieri, mentre si è sentito che si può vivere benissimo senza gli azionisti delle grandi società…

Bisogna aprirsi alle diversità; siamo tutti popoli multiculturali, in Francia, in Germania, in Italia. Ciononostante abbiamo la nostra unità repubblicana. Abbiamo un compito gigantesco: evitiamo che la fecondità ribollente di questo periodo vada perduta. Serve un pensiero che contemperi ecologia, economia e una democrazia partecipativa che si sostituisca a quella parlamentare rappresentativa. Naturalmente le cose sono complesse. E la complessità nasce dalla necessità di una contestualizzazione storica. Oggi siamo di fronte a una crisi della modernità. Non voglio parlare di post modernità. Si tratta di come uscire da questa crisi, che è la crisi di una umanità che non riesce a farsi umana. Poi ci sono anche gli antagonismi interni. Negli Stati Uniti ci sono polarità agli estremi. Ma ci sono anche in Francia, in Italia. Noi dobbiamo abbracciare la polarità dell’apertura, dell’eros contro tanatos. Si è parlato di solidarietà: l’abbiamo vista degradata nel piccolo, nelle divisioni famigliari, sino al grande, all’indifferenza per la gente che moriva per strada. Bisogna mettere insieme responsabilità e solidarietà, le quali non sono solo la fonte dell’etica personale ma anche della comunità sociale. In caso contrario la coesione può solo fondarsi sulla forza e sull’autoritarismo. In questo il patriottismo è diverso dal nazionalismo. Un fondamento che noi abbiamo perso».