Diverse risposte del Dott. Antonio Migliardi, Direttore dello Sviluppo organizzativo di Invitalia, nell’intervista pubblicata dall’Osservatore Romano di Roberto Cetera, sono assai datate. Anche il (ri)tirare fuori adesso la suggestione di questo ‘nuovo umanesimo’ è cosa già utilizzata e spremuta senza troppo impegno reale, e senza una traduzione per i tempi nostri, sia in politica sia in letteratura manageriale già circa quindici/venti anni fa. Allora si parlò pure di ‘nuovo rinascimento’. Tutte mode mediatiche a cui si piegarono un po’ tutti, e poi trascurate.

Anche il coniugare profitto ed etica è roba da Dottrina Sociale della Chiesa, e relativa convegnistica, degli Anni ’80 del Secolo scorso (cfr. Convegno Nazionale “Uomini, nuove tecnologie, solidarietà: il servizio della Chiesa Italiana”, Roma 17-21 Novembre 1987).

Allora si era agli albori di certe contese, e quindi si andava un tanto al chilo: più Stato o più mercato? Più società o più Stato?

Nella conversazione del pur preparato super manager di Invitalia, dire che le cose nuove si fanno perché si è intelligenti e non ‘buoni’ vuol presentare il lato razionale del ‘direttore illuminato’ che si usava negli Anni ’90, quando si accettava una certa cotaminazione dei ruoli di top management con elementi spurî presi da altre discipline, ma subito si correva a ribadire che ciò confermava la propria iscrizione alla casta dei pragmatici seriosi. Assumere poi laureati in filosofia e sbandierarlo come a sembrare degli originali è comica, perché affermazioni ed azioni simili sono state dette, ridette, fatte e rifatte da managers in cerca di anticonformismo pop già da vent’anni a questa parte. Sono peraltro d’accordo che un ‘generalista’ spesso funziona meglio di uno specialista, ma che uno che ricopre una job position come Migliardi si compiaccia nello stupirci come si trattasse di chissà quale originalità è roba surreale.

La gestione delle molto ma molto cosiddette ‘risorse umane’ (che il sottoscritto insisteva nel chiamarle ‘Persone’ ai Corsi in IPSOA e in SDA-Bocconi frequentati a Milano, anche in Hewlett-Packard, dall’inizio degli Anni Novanta causa ruoli lavorativi ricoperti [quantunque sia di formazione umanistica, Classico, Lettere e Filosofia]), ebbene tale gestione delle HU è  ormai assai – molto assai – diversa da quella presentata come ‘novità’ da Migliardi. Le cose sono purtroppo molto più complesse, ingarbugliate, oso dire indefinibili e irrisolvobili. Molta letteratura manageriale, in scioltezza dieci e passa anni fa, è da tempo muta e disorientata (vedi ormai la caduta a picco dei corsi sulla motivazione del personale, una mission impossible che ha fatto arrendere tutti; c’è chi ha provato anche con la Regola di San Benedetto).

Migliardi sembra sicuro delle sue pur nobili intenzioni ed affermazioni. Apprezzabili, per carità. Ma la Crisi è da tempo che morde le relazioni e i legàmi sociali. Si scrive, come diceva Luigino Bruni qualche anno fa su “Avvenire”, con la ‘C’ maiuscola. È educativa, è antropologica ed è Crisi Spirituale. Schemi, moduli e procedure non ce ne sono. Non abbiamo al momento soluzioni. Poi, se qualcuno nel mondo cattolico, pensa che le cose che dice Migliardi siano la chiave etica non ancora scoperta, vuol dire che ci possiamo permettere ancora notevoli perdite di tempo e vagheggiare una supremazia di visione che è gia stata più prosaicamente tentata e ritentata e che oggi è patrimonio (inutilizzato, peraltro) anche di un qualsiasi Consiglio Pastorale Parrocchiale.

Invitalia è a questi punti? Mah,…

Nell’intervista si avverte un autocompiacimento per quanto viene presentato, ma forse ciò accade perché chi si ha davanti ama poter scrivere di managers (l’impresite e l’aziendalese che seduce anche la Chiesa, evidentemente in cerca di patenti di adeguatezza ai tempi) sensibili a temi ecclesiastici e religiosi. La Chiesa un tempo rabboniva i Re, oggi anche uomini del Mercato le rendono omaggio, difficile resistere. Ma sono entrambi soggetti della Crisi, che oggi è ben oltre la coniugazione un po’ sempliciotta tra profitto e solidarietà.

C’è sempre nei nostri ambienti la seduzione di non andare solo alla Messa domenicale e dire il Rosario come una signora Maria qualsiasi ma di vedersi riconosciuti colti, intelligenti, politicamente sofisticati. Dispiace per questa impronta di gestore delle risorse umane, ma abbiamo seguito troppo l’intelligenza e l’intellighentia; si tratta invece, e proprio, di essere più buoni, più altruisti, più umili, più pazienti, e più gioiosi.

A costo di passare da ingenui, da fragili, da indecisi. Anche al lordo delle proprie contraddizioni. Abbiamo già visto l’in-sostenibilità cui ci hanno condotto i decisi, i ‘rigadritti’. È questo il tempo per un nuovo umanesimo? Lo scopriremo solo vivendo.