Valutando la gestione politica della pandemia, ad oltre un anno dalla sua genesi, il Presidente del CENSIS Giuseppe De Rita si è soffermato – in una recentissima intervista -su due elementi di criticità : la scelta di andare a rimorchio degli eventi, rincorrendoli e la carenza di un’ informazione adeguata, sostituita da una comunicazione dai toni emotivi e dalle ripercussioni ansiogene, sincopata, rapsodica, sistematicamente caduta dall’alto e all’ultimo minuto. Se la classe dirigente del Paese imbocca queste due strade dimostra di non possedere capacità di visione d’insieme, lungimiranza e coordinamento, creando le premesse per una sorta di psicosi collettiva da “sospensione”: di scelte, indirizzi, decisioni che sono elementi costitutivi del binomio competenza- responsabilità e che si riverberano sul piano sociale con comportamenti assoggettati a sentimenti di incertezza e insicurezza, vissuti emotivi di sconcerto.

Quanto dura la chiusura delle scuole? Chi procura i tablet per la DAD? Quando arriva il mio turno per vaccinarmi? Aver imboccato la via dei DPCM a spron battuto ha generato la sensazione di vivere un lungo periodo di sbandamento generalizzato, con atteggiamenti collettivi condizionati dall’inevitabile sensazione di subire gli eventi, anche nelle polarizzazioni opposte delle chiusure e del liberi-tutti- la società ha metabolizzato un vuoto di gestione, foriero di contraddizioni e suggestioni tutt’affatto rassicuranti.  La dimensione planetaria della pandemia ha rotto schemi di alleanze strategiche e indotto gli Stati a seguire vie nazionali di uscita, da questo punto di vista l’Europa non ha funzionato come entità geopolitica unitaria, non è esistita sul piano del coordinamento di scelte condivise: il virus ha disastrato la salute dei cittadini, prodotto ripercussioni economiche rilevanti a livello macro e dei singoli soggetti, le piccole imprese, gli stessi nuclei familiari. 

Ma ha creato fratture nelle istituzioni consolidate o in via di consolidamento: si pensi alle oscillazioni dell’OMS, alle incertezze nell’alleanza atlantica, al prevalere della geoeconomia espansiva della Cina sugli assetti degli equilibri che reggono le sorti del mondo. Forse pochi o nessuno dei decisori politici ha letto il libro Spillover di David Quammen: pubblicato nel 2014 e giunto ai nostri giorni  senza aver prodotto una coscienza ecologica collettiva né aver determinato assunzione di provvedimenti da parte della classe politica, nel nostro Paese e altrove. Si pensi alla gestione delle scuole, delle strutture sanitarie, delle mascherine e in ultimo dei vaccini. Si sapeva che il vulnus sarebbe stata la mutazione genetica del virus eppure questo argomento è stato occultato come si fa con la polvere sotto il tappeto, per poi esplodere in tutta la sua drammatica attualità. Eppure il patto tra Stati, case farmaceutiche e agenzie del farmaco sembrava essere rassicurante: ma le forniture non sono arrivate, i tempi di vaccinazione si allungano a dismisura, alcuni vaccini sono messi in dubbio, si profila una lunga attesa.

Non tutti i capi di governo hanno avuto la scaltrezza di Netanyahu che ha stipulato un accordo diretto con le case farmaceutiche. Mentre l’Europa è cassa di risonanza di conflitti e interessi nazionalistici, qui si è andati avanti in un clima di incertezza e disinformazione devastanti, le ricadute psicologiche sono evidenti e non tacitate dalle ondivaghe rassicurazioni. C’è stata un’enfasi sulle consulenze, le task force, la convocazione di Stati generali, le supervisioni ma spesso scienza e politica non hanno marciato affiancate: la sensazione è stata quella di un navigare a vista tra un DPCM e l’altro, senza una visione, un padroneggiamento, cedendo alle lusinghe dei bonus e degli eccessi di annuncio: troppi esperti, troppi opinionisti senza idee e conoscenze scientifiche, troppe ciarle e soprattutto una grande confusione di competenze hanno rallentato processi organizzativi che avrebbero dovuto essere gestiti con razionalità.

Scrive Quammen nel titolo del suo ultimo libriccino: “Perché non eravamo pronti” e non è una domanda ma una spiegazione. Quando una classe dirigente non afferra saldamente le redini del Paese si avverte un vuoto di potere ma ancor prima di cultura, consapevolezza, senso della realtà disarmante.

Riflettendo sulle valutazioni di De Rita si deve prender atto che una politica acefala che decide senza conoscere e comunica senza informare porta allo sbandamento sociale: paghiamo il prezzo di una impreparazione inaccettabile e colpevole, che ha generato la metodica dei pannicelli caldi, la confusione totale sulle competenze (si pensi ai conflitti Stato/Regioni, alle zone colorate e alla sovrapposizione di ordini e contrordini): una pandemia non può essere domata con un DPCM alla settimana, ogni provvedimento assunto con questa logica produce effetti inconsistenti e uno spaventoso disorientamento collettivo, spingendo la gente al delirio della solitudine senza approdi, delle domande senza risposta.

Questa logica va spezzata, di fronte alle evidenze e con il cambio di Governo. Si è chiesto a Draghi un sacrificio ma senza l’aiuto di tutti lo sforzo è immane: troppo forte il condizionamento dei partiti a loro volta lacerati da mille contraddizioni e da una bramosia di potere francamente inaccettabile. 

Mattarella aveva chiesto un Governo di “alto profilo”, ci ritroviamo – a parte Draghi- con una compagine di “altro profilo”. Forse è un problema insuperabile se conoscenza, coraggio e umiltà (le tre virtù laiche dell’ex Presidente BCE) non prendono il posto di incompetenza, cinismo e presunzione. Il vuoto politico è palpabile, il premier ci metterà tutto il suo know how ma la miopia dei partiti mischiata in un impasto devastante di alterigia, primazie e questioni di poltrone tiene banco e detta regole e ricatti. Non si può andare avanti con provvedimenti che durano una settimana, basandosi sulle oscillazioni dello “zero virgola”: a cosa serve chiudere tre giorni se poi si fa il contrario nei gg successivi?  La strategia di gestione durante il periodo natalizio è stata significativamente nefasta: due giorni si, tre giorni no ed è proseguita con la logica delle zone colorate e delle regioni dei “governatori”: il Governo nazionale prende una decisione che è subito smentita o capovolta a livello regionale, una frantumazione del Paese che ci fa tornare al periodo pre-risorgimentale.

Eppure la logica degli algoritmi e dei tavoli di confronto dove tutti devono essere rappresentati e dire la loro continua: ma chi comanda in Italia, il Paese europeo con il maggior numero di leggi e il minor numero di certezze? Non si può chiudere un’attività produttiva, una scuola, blindare i cittadini per uno 0,1 in più o in meno: è una scelta che maschera dietro i numeri l’incapacità di scelte coraggiose e di fondo, anche impopolari. Chiudere le scuole è una ferita per il Paese: culturale, economica, sociale. E gli alunni soli a casa davanti allo schermo sono una sconfitta per la pedagogia anche se ce lo chiede la scienza. Ma chiudere 15 gg e poi riaprire per 2 gg, prima degli altri 6 gg di vacanze pasquali è una scelta illogica: a cosa serve rimettere in moto mense, trasporti, assembramenti per soli 2 gg se poi c’è la pausa pasquale?  Draghi tesse una tela con mani sapienti ma ha bisogno del sostegno della politica. A chi tocca dire alla gente come stanno le cose? Siamo alla terza fase: quante ancora ne verranno? C’è chi si contenta e chi si dispera per scostamenti percentuali insignificanti. Troppi sapientoni con la ricetta in tasca si presentano in TV e ripetono formulette per mentecatti, come un alunno delle elementari che recita le tabelline contando con le dita.

Dovremmo esser rassicurati da tali parole? Quante cose sono state dette e poi regolarmente smentite?

Queste indicazioni – l’ecologia, la transizione, la riconversione, la digitalizzazione– sono frutto di una genericità di approccio. Per carità, sono tematiche anche serie. Tradotte tuttavia a programma di lungo periodo nella società non funzionano, salta tutto. Perché la società ha bisogno di evoluzioni lente e in qualche modo partecipate”: queste parole di De Rita ci ricordano che abbiamo vissuto troppe stagioni di promesse mentre sottotraccia la Storia seguiva il suo corso.

Può durare per un periodo limitato, se però per troppo tempo la politica detta le regole del “noli me tangere” e dei distanziamenti, allora io preferisco la metafora del popolo in “trance” rispetto al meccanismo artificiale del comando della truppa”. Draghi chiama ad un senso di responsabilità collettivo.

Andare avanti così non può durare a lungo, sembra dunque necessario sciogliere un antico dilemma che affligge noi italiani, in primis i politici di ogni colore: siamo uomini o caporali?

Non è uno scherzo perché dalla risposta dipende il nostro destino.