Il partito “cristiano” di Berlusconi.

Forza Italia come “partito cristiano” non è un’affermazione sulla quale convenire pacificamente. Tuttavia, anche questa sortita dimostra che il fondatore e padrone assoluto del partito cerca di rafforzare una identità sempre più declinante. In modo poco chiaro, si prospetta dunque un rafforzamento del profilo ideale dell’aggregato berlusconiano, nel timore quanto mai evidente di dissipare un patrimonio, una volta cospicuo, di consensi elettorali e di potere.  

 

 

Giorgio Merlo

 

In un lungo articolo pubblicato sul Giornale, Silvio Berlusconi ha tratteggiato, per l’ennesima volta, il profilo e la natura politica di Forza Italia: e cioè, un “partito cristiano, liberale, europeista e garantista”. Dopo essersi soffermato sulla natura “liberale” in una precedente riflessione, questa volta ha richiamato l’attenzione sulla natura “cristiana” del partito, perfettamente integrato nella esperienza e nella tradizione del Partito Popolare Europeo.

 

Ora, al netto della propaganda spicciola e della polemica persin troppo facile da contrapporre, credo sia importante avanzare qualche riflessione in merito. Seppur brevemente e senza particolari approfondimenti.

 

Innanzitutto un partito non scopre la sua vera identità politica e culturale dopo quasi 30 anni dalla sua fondazione. Perchè Forza Italia è nata in vista delle elezioni politiche del 1994 e la sua identità cristiana e popolare è rimasta, almeno così pare, un oggetto misterioso per svariati lustri. Ma il fatto che Berlusconi oggi, in una stagione di profonda trasformazione e di cambiamento, insista in modo persin ossessivo sulla natura “cristiana” del partito non può non essere presa in seria considerazione. E, su questo versante, saranno solo e sempre le scelte politiche, cioè le azioni concrete, a dirci se alle intenzioni corrisponde realmente un progetto politico o se, al contrario, si tratta di semplici annunci.

 

In secondo luogo, anche se viviamo in una stagione politica dominata dalla personalizzazione, dalla spettacolarizzazione, dal populismo e dalla demagogia imperante, è però indubbio che un partito di ispirazione “cristiana, popolare ed europeista” non può non avere tra i suoi dirigenti nazionali e locali persone che provengono espressamente da quella cultura e da quella tradizione ideale e culturale. E questo non solo perchè le culture politiche non sono oggetti intercambiabili ma continuano, bene o male, a rappresentare un pensiero da cui trarre alimento. Ma, soprattutto, perché un partito che si rifà a quella tradizione deve saperla declinare, seppur laicamente, sempre e non ad intermittenza. Anche questa una promessa che andrà misurata solo dai fatti.

 

In ultimo, per rifarsi alla concreta e storica politica italiana, i partiti di ispirazione cristiana – dalla Democrazia Cristiana dei De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti, Donat-Cattin, Zaccagnini e Tina Anselmi, per citare solo alcuni statisti al Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli e Franco Marini – hanno saputo declinare concretamente anche e soprattutto una “politica di centro” oltre ad un progetto politico riformista, democratico, europeista e socialmente avanzato. Un partito e una tradizione che affondavano le sue radici nel patrimonio etico, culturale e politico del cattolicesimo democratico, popolare sociale italiano. E che ha sempre cercato di ispirarsi a quel filone nel dirimere i nodi che, di volta in volta, si affacciavano all’attenzione dell’agenda politica italiana.

 

Ecco perchè anche la riflessione di Berlusconi non va affatto sottovalutata. Purchè siano chiari anche i tre, seppur brevi, elementi che ho richiamato e che hanno caratterizzato nella storia politica italiana l’esperienza dei partiti popolari di ispirazione cristiana, democratica ed europeista.