Il PD ad un passo dall’istanza di fallimento

Al di là di Renzi, esiste un mondo in cerca di nuova rappresentanza; non è, chiaramente, un mondo “di sinistra”, ma può trovare (o ritrovare) le ragioni, sempre valide, di operosa convivenza tra centro e sinistra.

Articolo già apparso su /www.huffingtonpost.it

Gli osservatori anche superficiali possono constatare quale dilemma agiti il Partito democratico. Il suo gruppo dirigente, scosso dal voto di marzo e contestato dall’opinione pubblica progressista, reagisce con un misto di orgoglio e sventatezza. Nelle primarie, ancora lontane anni luce, essendo marzo una data fuori da qualsiasi radar politico, si riversa il desiderio di riscatto e l’impulso del cupio dissolvi. Qualcuno fa appello all’unità, consapevole dei rischi che incombono all’orizzonte, qualcun altro si frega le mani, nascostamente, per altre scissioni. “Più soli, più forti”, è lo slogan paradossale di un partito che appare ogni giorno di più scarnificato di motivazioni ed entusiasmo.

Gentiloni ha colto la difficoltà più vistosa del momento: non si può pensare di riprendere in mano la barra di una nave impazzita se non si ha chiaramente in testa la meta verso cui dirigersi. Ha detto, infatti, che il quadro identificativo del partito che si vuole rinnovare richiede uno stacco da qualsiasi tentazione revanscista e nostalgica. Se il Partito democratico si trasforma una “ridotta della sinistra” cessa di essere il soggetto originale e nuovo del riformismo italiano. Troppi segnali, in queste ore, indicano la voglia di rescindere il collegamento con la sorgente – forse la più viva e la meno rappresentata – del Partito democratico: la sorgente del cattolicesimo democratico e popolare.

A questo errore non si rimedia con operazioni di maquillage. Zingaretti pensa di riservare un posto d’onore a Calenda e Martina, nonché allo stesso Gentiloni, a testimonianza della sua intenzione inclusiva. Non mi sorprenderebbe che di punto in bianco spuntasse dal cilindro il coniglio bianco  della classica (e logora) cooptazione dalle fila del cattolicesimo militante. Sono proposte generose, per molti aspetti apprezzabili, ma allo stato degli atti non risolutive. La crisi del partito è più profonda per essere trattata con l’arma di seduzione dell’organigramma ben studiato e abbellito, un po’ secondo le regole  apprese alla scuola delle Frattocchie.

Con un eccesso di acrimonia e insieme di malevolenza si tenta di espungere la formula sperimentata da Renzi. Non si coglie la sua “verità interna”, tuttora valida e interessante, nonostante i rovesci degli ultimi passaggi politici. Se non si spezza la tenaglia pentaleghista, riaprendo lo spazio al centro e dunque ridando cittadinanza ai democratici astensionisti, ogni rilancio del riformismo è destinato ad accartocciarsi nella frustrazione e nell’impotenza. Al di là di Renzi, esiste un mondo in cerca di nuova rappresentanza; non è, chiaramente, un mondo “di sinistra”, ma può trovare (o ritrovare) le ragioni, sempre valide, di operosa convivenza tra centro e sinistra.

La nostra scommessa è questa. Sviarne il senso comporta l’apertura di un’istanza di fallimento.