Il Pd, il congresso e il grillo saggio.

Giarrusso uno e Giarrusso due: storie intrecciate che raccontano lo smarrimento della politica. Il pasticcio più grande lo si è visto quando uno dei due, e cioè Dino, ha pensato bene di annunciare il suo ingresso nel Pd. S’è alzato un coro che ricordava Iannacci: “Vengo anch’io, no tu no”.

Giovanni Federico

Il Movimento 5 Stelle sa per tempo interpretare i propri astri e agire di conseguenza con la giusta preveggenza. Sarà per questo che hanno eletto al Parlamento italiano ed a quello europeo due Giarrusso, uno Mario, l’altro Dino. Il primo eletto nella circoscrizione Sicilia, il secondo eletto nella circoscrizione Italia insulare della Sicilia e Sardegna. Entrambi amanti delle isole. Se uno dovesse, per infedeltà, passare in altro campo, un altro resterebbe. Se mai mollassero entrambi le cime, per muovere verso altri porti, allora non ci sarebbe che arrendersi. Contro l’irriconoscenza umana anche le stelle devono alzare bandiera bianca. È finita che sia Mario che Dino hanno tolto le tende. È una questione che sta suscitando polemiche, non essendoci cose più serie su cui impegnarsi. C’è qualcosa di animale nella storia che commentiamo, c’è un’affascinazione rivolta al passato.

Dino è una ex Iena, di quel gruppo che ficca il naso dappertutto, denunciando in televisione qua e là i misfatti del paese. La iena, il cui nome in greco designa in verità il maiale, può essere striata o ridens. Nel nostro caso c’è poco effettivamente da sollazzarsi ma si deve comunque andare avanti. Quindi ha abbandonato le Iene, perennemente fameliche di ribalta, per spendersi in politica. Nei 5 Stelle è richiesto piglio e martello per farsi un nome. In coerenza alla regola, ha morso con denti da iena il povero Pd, accusandolo di ogni nefandezza politica. Ma la nostalgia di essere ancora un “ex” deve averlo stuzzicato senza che ne potesse resistere. A maggio dello scorso anno ha abbandonato i 5 Stelle, accusandoli di essere il centro di ogni ipocrisia e di una direzione verticistica da parte di pochi eletti. Gli è stato replicato di essere un poltronista ma non ci ha fatto troppo caso. Ha poi lasciato intendere di voler fondare un ennesimo partito, raccogliendo intanto tutti gli ex 5 Stelle che tutti insieme c’è chi dice facciano meno del voto di un condominio. Ormai determinato, non si è fatto mancare un passaggio brillante. Il 27 giugno nelle elezioni regionali siciliane l’inquieto Dino fonda il partito “Sud chiama Nord”. Neanche una manciata di giorni dopo però rompe l’accordo con il cofondatore Cateno De Luca e presenta un suo simbolo autonomo, poi non ammesso all’esame ministeriale.

Al termine di questa dannata peregrinazione il nostro Dino ha pensato bene, giorni fa, di annunciare più opportunamente la sua adesione al Pd, subito esternando un pensiero forte, risolutivo e sopra ogni cosa originale. Il PD deve tornare ad avere una identità di Sinistra.  Questo il suo prepotente biglietto da visita, che fa la “differenza” tra lui e il resto del mondo. Giarrusso porta in dote una traditio di battaglie e movimentismo, una tradizione di cui è depositario, a cui far seguire una reditio, una consegna anche ad altri che possano continuare il suo lavoro. Tra gli attuali pentastellati corre, a dirla tutta, un giudizio più di tradimento che di traditio. Un grillo saggio sa bene come orientare un PD in affanno nell’incertezza se andare un po’ più a destra o un po’ più a sinistra, per arrivare al tesoro segnato su una mappa che solo pochi eletti sanno decifrare. Tutto si spiega e tutto ha una ragion d’essere. Di nuovo soccorre il fascino di partiti con il logo di animali. Forse l’elefantino repubblicano e l’asinello democratico degli USA hanno mosso suggestione.

Di Maio, più leggero, aveva scelto l’ape operosa. Ancor prima Prodi scelse, ispirandosi ad oltre oceano, l’asinello. Senza dimenticare che nella Prima repubblica la Democrazia Cristiana era solita essere bollata come la Balena Bianca. Di recente è stato il turno dei “grillini”, la coscienza buona del paese, forse con troppi grilli per la testa con tante idee di fantasia, spesso frantumante contro la realtà dei fatti da fronteggiare. Giarrusso, che nel frattempo è diventato un tipo pratico, si è voluto togliere un grillo dalla testa e chiodi dalla scarpa e passare ad altro. Avrà considerato la monotonia di una dieta a base di grilli, sia pure oggi molto di voga e assai nutriente, dei quali sembra, peraltro, non si butti vantaggiosamente via nulla. Avrà pensato che la vita di un grillo non si prolunga oltre i due mesi e mezzo. Per questo è acconcio cambiare aria per continuare a dispiegare il proprio messaggio politico. I grilli non friniscono con le corde vocali, ma singolarmente con le elitre che sono delle creste presenti sulle ali. Da qui l’importanza di Giarrusso di svolazzare forse di fiore in fiore, volendo cantare in ogni stagione e non solo d’estate nel tempo degli amori. Giarrusso legittimamente ha bussato alle porte del PD durante una assemblea promossa da Bonaccini che, proprio a voler mettere timbri addosso, è più un riformista che un massimalista.

L’ex Iena ed ex grillino forse ha guardato a quel candidato alla Segreteria perché ha intuito essere preferibile l’aria di bonaccia a fronte della tempesta che si sta comunque sollevando per la sua dichiarazione d’intenti. Sanremo è vicino, tante canzoni della storia italiana vengono in questo periodo in mente. “Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu” è un ritornello che non ti si leva dalla testa dopo averlo ascoltato anche solo una volta. Torna il tema delle poltrone su cui sedersi. Potrebbe alzarsi un Enzo Iannacci indispettito e gridare il suo celebre “Vengo anch’io, no tu no!”. Giarrusso di nuovo, indomito, potrebbe replicare: “Non sarà un’avventura, non può essere soltanto una primavera”. Piuttosto che ricorrere a leggi sempre minacciate e mai efficacemente adottate, ad argine del trasformismo imperante basterebbe un semplicissimo “no”, chiudere la porta a chi chiede di far parte di una cordata. Tanto semplice da non essere mai fatto. Questa volta potrebbe aiutare quel monito che, richiamando terre cimiteriali, suggerisce di non “andare a sentire cantare i grilli”. Da quelle parti c’è infatti aria di morte e il PD attuale non ne ha proprio bisogno.