Il PD prossimo al precipizio

Non è sicuramente incoraggiante che il primo partito di opposizione viva una stagione così lacerante.

Per ora, da quanto si sa, sono ben sette le candidature alla carica di segretario nazionale del Pd e non è detto che nei prossimi giorni o nelle prossime settimane se ne possano aggiungere altre.

È un bel carnevale visto che le primarie cadono più o meno in quel periodo. Interessante sarà vedere cosa succederà quando arriverà il momento della penitenza perché non possiamo escludere che il risultato di quella kermesse non sorprenda per stranezze.

Se restassero sette o anche aumentassero, il grado di possibilità che nessuno possa raggiungere il cinquantun per cento è elevatissima, e come si sa, se a decidere sarà chiamata l’assemblea, come già autorevoli commentatori hanno rilevato, il Pd rischia una implosione catastrofica.

Mi spiego: il primo aspetto devastante potrebbe essere la convergenza dei outsider a stabilire il vincitore che non risultasse il primo tra i concorrenti al turno uscito dalle primarie del 3 marzo. Questo fatto metterebbe a nudo una insopportabile tensione tra le parti.

Anche nel secondo caso, pur attenuando le difficoltà, risulterebbe essere sempre indigesto per gli angoli lasciati in disparte; in sostanza si mettono d’accordo il primo con altri, escludendo una parte che resterebbe relegata al grigio ruolo di minoranza, e, tutto ciò, creerebbe scompiglio nell’intero Pd.

Si comprende, quindi, che questa folle corsa con una galoppata tra sette o più candidati, è destinata a produrre profonde ferite all’interno del Pd.

Per un esterno che guarda il fenomeno in corso, è del tutto evidente che un numero così elevato di concorrenti denuncia una scolorita condizione di pensiero politico perché rileva differenze quasi incomprensibili sul piano prettamente programmatico-politico – non ci possono essere sette Pd diversi tra loco – il che è indice solo di una squisita battaglia di potere: ditemi voi quali possono essere le differenze di carattere teorico-programmatico tra tutti costoro. Al limite potrei capire uno Zingaretti si contrapponga a un renziano, perché ci sono comunque delle differenze a tutti visibili, ma le sfasature tra sette persone sono una inezia incomprensibile a chiunque se non per ritagliarsi un posto di potere.

Anche se l’ultimo candidato, dovesse prendere il due per cento di consensi, andrebbe al tavolo assembleare per contrattare la sua posizione all’interno di una eventuale maggioranza.

Ditemi se questo è un bel biglietto da visita che indurrà i cittadini a recarsi alle urne della primarie il 3 marzo.

Non è sicuramente incoraggiante che il primo partito di opposizione viva una stagione così lacerante.

Per il bene del Paese mi auguro che da sette scendano a due o al massimo tre i candidati a Segretario. Ma, ho la segreta convinzione che, giunti a questo punto, i sette cavalli siano come i cavalli che vediamo al palio di Siena, tutti nervosi e incitati a fare la gara. In questo modo non è da escludere che, a fine corsa, ci sia un solo risultato: lo sfascio del Pd.