Tutti coloro che prefigurano il rilancio del “centro” sentono il dovere di aggiungere a questa fatidica categoria della politica un elemento qualificativo, ovvero l’aggettivo “autonomo”. Si dice che il centro deve essere e sarà – quando sarà – autonomo, di certo perché la sua azione non può diversamente dichiararsi, pena la subalternità alla destra e alla sinistra. Un centro, pertanto, che secondo la narrazione più spicciola e intrigante dovrebbe ragionare di alleanze solo in fase post elettorale, dentro le Aule parlamentari, sulla base degli equilibri sanciti dalle urne. Da qui dovrebbe derivare, in conseguenza di questa libertà di movimento, la forza di attrazione che un nuovo partito conquisterebbe sul campo rivendicando la regola del gioco solitario, sebbene concepito e vissuto, nel contempo, come gioco a geometria variabile.

Renzi non si è mai dichiarato di centro, eppure applica alla lettera questa mobilità di spirito del “centrismo new age” in voga nell’area dei tanti sostenitori, perlopiù inconsapevoli, del modello trasformistico italiano. I rischi di ambiguità sono alti. Proprio ieri, sulla vicenda dell’autorizzazione a procedere contro Salvini, Italia Viva ha operato all’insegna di tale libertà di spirito facendo del (non) voto renziano l’ancora di salvezza del leader della Lega. Qualcuno ha subito osservato che un primo segnale di ringraziamento è spuntato in Lombardia, nel cuore antico del berlusconissmo e del leghismo, con l’elezione di una consigliera regionale di Italia Viva alla guida di una commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid-19. 

Probabilmente sono illazioni che si nutrono di sospetti troppo facili. In ogni caso, resta agli atti la rappresentazione plastica di una vocazione alle scelte occasionali, a seconda delle convenienze, del partito messo in piedi dall’ex Presidente del Consiglio. La novità s’intride di un giolittismo  alla buona, spoglio di autorità e prestigio. E il giolittismo, come sappiamo, fu la bestia nera di Luigi Sturzo. Ora, senza mancare di misura, rimanendo perciò nell’ambito della buona educazione, viene da chiedersi se un approccio che conferma e rafforza lo scialbore di una democrazia tanto impoverita negli ultimi trent’anni abbia un qualche motivo di fascinazione, specie tra i giovani e meno giovani in cerca, oggi più che mai, di nuove vie d’impegno nella vita pubblica. 

È questo il centro meritevole di attenzione, nutrito di valori   – ad esempio il valore della coerenza – all’altezza di una  autentica prospettiva di rinnovamento civile e morale del Paese, capace perciò di suscitare rispetto e speranza nel popolo italiano? E dunque il futuro si palesa nel folgorante riverbero di opportunismo, come se lo splendore di una proposta politica, in grado di esercitarsi nella libertà di pensiero e di azione, possa specchiarsi felicemente nelle acque torbide della spregiudicatezza e del disincanto? Sta qui la virtù dell’essere di centro, a stralcio di una storia che ne racconta viceversa la tensione e lo slancio, nonché l’interna verità dell’anticomunismo democratico, se solo andiamo con la memoria al dibattito tra De Gasperi e Dossetti? Nient’affatto, non è questo il centro di cui ha bisogno la nuova politica democratica, destinata comunque a prendere forma, con fatica e sacrificio, nell’incandescenza di una crisi epocale dell’economia, della società e in ultimo delle stesse istituzioni.