Il 7 agosto 1981 usciva sul Corriere della  Sera un articolo di Claudio Magris dal titolo “Con i versi di Dante non si vince il terrorismo”. Ora, l’autore prende spunto da questa affermazione per sviluppare un ragionamento che implica sullo sfondo lo sforzo del cristiano ad assumere l’impegno verso una costante rivendicazione della forza del realismo contro gli “astratti furori” dell’utopismo. Come impiegare i talenti per la vita buona?

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Un cristiano – od aspirante tale, come si definiva Bo – crede fermamente ad una radicalità totale nel sostenere certi principi, senza mezze misure. Per cui con il cuore e con la mente, e non per obbedienza – riprendendo il bell’articolo di Bonalberti sul dilemma tra fede e realismo – bisogna odiare le armi – tutte – e la loro produzione, ed è fondamentale il posizionamento drastico del capo della Chiesa Cattolica contro di esse (un po’ meno contro le sanzioni…). Bonalberti usa il termine ‘rispetto’, sia verso l’estremismo profetico del Pontefice sia verso gli impegni politici assunti da un Governo nazionale, una ‘divisione’ che dovrebbe sopportare – sottolinea – il cattolico impegnato. 

Eppure la Fede non sarebbe uno dei due corni del dilemma  semmai lo potrebbe essere certo utopismo rispetto al realismo. La Fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono (Eb 11). Fondamento, e prova (= tangibile). Quindi va tolta dal dilemma e messa per aderire – con passione e non per sola obbedienza – alle parole del Papa, ma anche affinché il realismo – che richiede anch’esso aderenza – non diventi cinismo. Se non si mettesse Fede nel realismo non si capirebbe La Pira. Per questo il ‘pacifismo’ oggi è un colossale fraintendimento, perché elude il logoramento delle _traduzioni_, delle prassi, del grembiule della lavanda dei piedi. E chi non ‘traduce’ non può iscrivere nel suo club il Papa. Perché non tradurre non è essere puri e fedeli ma _travisare_. E chi travisa fa un disservizio alla pace (e al Papa), altro che un favore. 

Come bene ha evidenziato questi giorni Lech Walesa il mondo non è ‘ragionevole’ e le vie del dialogo non sono così ovvie e normali come uno si aspetterebbe (non è che bisogna andare in Ucraina, basta vedere un’assemblea di condominio). 

Il credere serve: a chi è per la pace a preparare _comunque_ la pace (e non la guerra). Ma proprio per questo bisogna non essere bambini e saper fronteggiare l’irragionevolezza del mondo; per cui a breve non c’è da aspettarsi solo Abele: Caino ritorna incessantemente.  Quindi per venire a noi, ogni comunità, ogni consorzio umano necessita di dotarsi di un sistema di difesa funzionale. Disdegnare ciò è consegnare gli agnelli ai lupi, illudendosi di placarli; anzi peggio: giustificandoli (le Guardie Svizzere, simboliche quanto volete, hanno armi automatiche e si esercitano ai poligoni; altro che ‘figurative’…). Questo costa il 2%? Vediamo. (Peraltro decisione del 2006, formalizzata nel vertice Nato del Galles del 2014, otto anni fa.) Insomma, anche difendersi non è gratis. E non è da politico cattolico riferirsi all’eden e non a questo mondo.

Una riflessione di quaranta anni fa di Magris può aiutare.

Il 31 Luglio del 1981, la sera a Bologna, nel 1° Anniversario della strage della Stazione, il Comune di Bologna, Sindaco Zangheri, organizzò la _Lectura Dantis_ di Carmelo Bene, in una grande kermesse di quattro giorni in cui erano invitati i giovani di tutta Europa. Dopo i tumultuosi Anni Settanta – cominciava ‘il riflusso’ – erano i primi tentativi del PCI di divagare dall’Ideologia ortodossa, agghindandola di sentimenti borghesi (l’intimismo individualista era fin’allora puro revisionismo, deviazionismo). Fu uno dei primi tentativi di portare la (povera, propongo un sodalizio per recuperarla) Bandiera Rossa nelle relazioni interpersonali (= il soggettivismo come _comunismo geneticamente modificato).

Claudio Magris a commento scrisse un Editoriale sul “Corriere della Sera” del 7 Agosto, dal titolo “Con i versi di Dante non si vince il terrorismo”. Verteva intorno al ruolo degli intellettuali per una società che volesse essere ‘civile’.

Contro il terrorismo – ricordiamo che si era a tre anni da Moro e che Moretti fu arrestato il 4 Aprile dell”81 a Milano insieme a Enrico Fenzi – servono la polizia e le indagini, ed è una questione di _lotta armata_ – annotava Magris – perché i terroristi sparano (anche a chi ti viene incontro declamando Dante). 

“C’è un culto, ingenuo e snobistico della cultura che ricalca il peggior estetismo di fine secolo”, proseguiva Magris, e si rischia di essere come Nerone davanti a Roma che brucia. “Quando brucia la città, e bruciano gli uomini, non serve intonare un canto sulle fiamme ma occorrono i pompieri, che tirino fuori chi si dibatte in quelle fiamme.”.

L’articolo di Magris si concludeva ricordando cosa aveva voluto Eschilo come epitaffio sulla sua tomba a Gela (V Secolo a.C.): 

« Codesta tomba Eschilo ricopre,

d’Atene figlio, padre fu Euforione:

il suo valor potrebber ben ridirlo

di Maratona il piano e il Medo chiomato. ».

Cioè Eschilo, celebre drammaturgo di Eleusi, non volle essere ricordato per le sue opere ma per il suo valore guerriero nel difendere la civiltà ellenica dai Persiani nella battaglia di Maratona. Come dice Magris, egli sapeva che il suo pensiero gli aveva dato gli strumenti per leggere la realtà, e che da questo partiva, ma che quello che contava era il punto di arrivo, ovvero come aveva impiegato i suoi talenti per la vita buona.