Tratto dall’edizione del 27 giugno dell’Osservatore Romano a firma di Dario Fertilio

Non si può commettere l’errore di chiamarle con sufficienza giornalini a fumetti, né trascurare le sezioni che ormai tutte le maggiori librerie e gli inserti culturali dedicano alle graphic novel

La qualità di ciò che propongono soggettisti e disegnatori sollecita una corda sensibile di molti adulti, già divoratori d’avventure iperboliche e infantili, ora disponibili a un approccio maturo, eclettico e aperto a disparate forme di intrattenimento. Sia che si voglia classificare la graphic novel tra gli esempi di letteratura per immagini — e il graphic journalism come variante ispirata ai reportage d’inchiesta — sia che la si consideri parente della cultura visuale e tridimensionale di ultima generazione, la sua posizione di rilievo oggi è indiscutibile. 

Se l’informazione è sempre più orizzontale, eterogenea, attratta dal collage e non dalle impostazioni gerarchiche e selettive, anche perché sollecitata da strumenti virtuali, la graphic novel rappresenta un approdo in fondo tradizionale e rassicurante; il libro si può maneggiare, le tavole disegnate offrono sorprese e consentono pause di riflessione; e il fumetto in sé, col suo sapore d’infanzia, invita a riscoprire sensazioni sedimentate nel profondo. Ci si immerge con Teresa Radice e Stefano Turconi in una Siria diversa da quella raccontata dai media, dove l’accettazione del diverso è possibile, e padre Dall’Oglio, rapito sei anni fa a Raqqa, diventa un personaggio di riferimento in Non stancarti di andare (Bao Publishing). Si seguono le tracce di giornalisti noti come Toni Capuozzo nell’Iraq tormentato dal terrorismo (La culla del terrore), o Fausto Biloslavo nel dopo Gheddafi (Libia Kaputt, pubblicato come il precedente da Signs Books). Si ricostruisce con Roberto Battistini la cronaca criminale degli anni ’70, cui si intreccia una storia vera di redenzione individuale (A caro sangue, 001 Edizioni). In Salvezza (Feltrinelli) Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso stabiliscono un contatto diretto con i disperati dei barconi aggrappati alle navi di salvataggio nel Mediterraneo, mescolando il grigio dello sconforto e l’arancione dei salvagente e della speranza. Ma forse la graphic novel ottiene il maggiore effetto là dove riesce a liberarsi del tutto dagli schemi narrativi tradizionali per abbandonarsi a un ritmo sincopato, fatto più di sensazioni che di fatti descritti con pretese di oggettività. Così nella vicenda tragica di Norma Cossetto, vittima degli infoibamenti nell’Istria del 1943 (Foiba rossa di Emanuele Merlino e Beniamino Delvecchio), e ancor più in quella del martire cecoslovacco Jan Palach ricostruita da Petr Vyoral (pubblicata come la precedente da Ferrogallico) risaltano al massimo le potenzialità del mezzo. L’obiettivo ambizioso di storie come queste è coinvolgere tutti i sensi del lettore: la vista conquistata dal tratto, dai salti temporali, dalle linee che indicano movimento, dalla tessitura dei quadri e dai differenti caratteri; l’udito, attraverso lo sforzo di far vedere i suoni, ma anche i rumori interiori che il lettore ricostruisce nella mente; l’olfatto e il gusto, suggeriti attraverso le linee tratteggiate nell’aria; il tatto sollecitato dall’identificazione, mentre si girano le pagine, con gli ambienti in cui si svolgono le storie. Il che forse significa tornare al passato, quando si desiderava un libro con spirito romantico, sperando di vedervi prender forma sogni e desideri.