Il tafazzismo del Pd e il nuovo centro

Ora, però, al di là della felicità incontenibile dei dirigenti del Pd, da questo voto emerge un dato abbastanza evidente.

Già pubblicato sull’Huffingtonpost

È difficile, francamente, respingere al mittente la riflessione del capo della Lega quando dice che dalle politiche in poi la sinistra ha perso tutto quello che poteva perdere. E, soprattutto, ha perso in quei territori dove governava da anni se non da decenni. È inutile fare l’elenco perché è noto a tutti. Ma è anche inutile ricordare che ormai è passato quasi un anno da quel fatidico 4 marzo che ha segnato la fine del renzismo e della gestione renziana del partito – peraltro da quasi tutti esaltata e promossa come modello dalla stragrande maggioranza di quel partito per lunghi 4 anni e poi prontamente rinnegata appena il centro e’ girato…- eppure si continua a perdere. E dappertutto.

Ora, quello che francamente stupisce e che imbarazza parecchio anche molti commentatori – salvo quelli che sono l’espressione del giornalismo d’élite, peraltro maggioritario, che continua a tessere le lodi del Pd e della sinistra quasi a prescindere dalla concreta e continua risposta dell’elettorato – e’ assistere alle manifestazioni di soddisfazione e di felicità del suo fantomatico gruppo dirigente dopo il voto in Abruzzo e in Sardegna. Due regioni governate, sino a ieri, dal centro sinistra e due regioni che contavano una vastissima coalizione e, soprattutto, con due candidati alla Presidenza molto autorevoli e molto prestigiosi. Risultato? Una doppia botta politica ed elettorale con una percentuale di distacco fra le due coalizioni che ondeggia fra il19 e il 22%. Qualunque persona di buon senso, almeno credo, si pone una banale domanda: ma si festeggia e si è felici e contenti per che cosa? Per le ripetute sconfitte politiche ed elettorali? Per le percentuali delle sconfitte? Per la buona performance del Pd? La risposta non si conosce. L’unica ragione consolatoria di questa chiassosa soddisfazione dei dirigenti, renziani ed ex turbo renziani, e’ forse quella di pensare di aver scampato un pericolo. Cioè la sostanziale scomparsa dalla geografia politica italiana. E l’unica giustificazione a questo atteggiamento, dunque, non può che essere il vecchio slogan “chi si accontenta gode”.

Ora, però, al di là della felicità incontenibile dei dirigenti del Pd, da questo voto emerge un dato abbastanza evidente. Oltre, come ovvio, alla disfatta del movimento 5 stelle e alla straripante vittoria della Lega salviniana e del centro destra. Dappertutto, dal Trentino alla Sicilia. E cioè, il Pd non è più il fulcro dell’alternativa al centro destra. Il simbolo del Pd, diciamoci la verità, è stato sostanzialmente nascosto in tutte le consultazioni elettorali che si sono svolte dalla sconfitta delle elezioni politiche in poi. Un accantonamento tattico e strategico. Tattico perché si tratta di un logo oggi non particolarmente gettonato nella pubblica opinione. Anche in quella della sinistra tradizionale e non solo. Strategico perché è evidente a tutti che il futuro del centro sinistra non potrà più ruotare attorno ad un partito, seppur importante, ma del tutto incapace di ricostruire attorno al suo ruolo e al suo simbolo un progetto di alternativa politica e di governo al centro destra.

Ed è proprio attorno a questo tema che si gioca ormai la vera partita del futuro centro sinistra dopo la sbornia della sciagurata “vocazione maggioritaria” e la cesura della “cultura delle alleanze” di renziana memoria. Si tratta, cioè, come dicono ormai molti commentatori ed opinionisti su vari organi di informazione, di ricostruire un “partito/movimento di centro” non per rispondere ad un astratto posizionamento geografico nello scenario politico italiano ma, al contrario, per rideclinare una “politica di centro” e una “cultura di centro” che nel cosiddetto centro sinistra di oggi rischiano di essere solo un ricordo del passato. Cioè della prima repubblica. E questo a maggior ragione dopo le primarie del Pd che vedranno, quasi sicuramente, la vittoria di Zingaretti e quindi il ritorno del Pds. Ovviamente in forma aggiornata e rivista ma sempre un partito della sinistra italiana. Un progetto, va detto con altrettanta chiarezza, del tutto legittimo e anche utile perché con il ritorno del sistema proporzionale da un lato e delle identità politiche dall’altro, e’ persin scontato che la sinistra ritorni a fare la sinistra. Dopodiché, però, va ricostruita una cultura delle alleanze perche’, come diceva Mino Martinazzoli, “in Italia la politica è sempre stata la politica a delle alleanze”. E una alternativa credibile al centro destra non potrà non partire da 3 caposaldi decisivi e visibili: riconoscere e promuovere una vera cultura delle alleanze; smetterla di pensare che tutto ruoti attorno ad un partito, il Pd, che progressivamente ed irreversibilmente non potrà che essere un tassello della coalizione; e prendere atto, infine, che senza un “centro” riformista, di governo, con una spiccata cultura cattolico popolare e democratico, il tutto rischia di essere un mero esercizio retorico ed intellettualistico. Perché, forse, d’ora in poi sarebbe utile e consigliabile smetterla di essere contenti e felici per le sconfitte. Perché, come dicevo poc’anzi, poteva andare peggio. Cioè potevamo scomparire. Con una classe dirigente del genere, e’ difficile progettare e scommettere sul futuro. Altroché essere competitivi…