Il primo punto, valore fondamentale per sconfiggere il virus e costruire una ripresa economica e sociale, è capire quanto importante sia il valore della collaborazione. Sia essa tra le forze politiche, tra le istituzioni, tra i cittadini. Durante un’emergenza così dura, la politica fa bene al Paese solo se usa il dialogo e non lo scontro, la condivisione di idee e non gli antagonismi, la chiarezza di un progetto e non inutili veti.

Ogni giorno, ci pone davanti uno scenario che muta, quindi non possiamo più parlare di “progetti”, ma di un “progetto” comune, una direzione verso la quale andare insieme. Il primo obiettivo deve essere quello che già il nome dei Fondi messi a disposizione dall’Europa indica: lavorare per la prossima generazione, che non va intesa solo in senso demografico, ma come epoca. Un’epoca che oggi si sta formando e della quale tutti facciamo e faremo parte. Nessuno escluso. Non abbiamo più la possibilità, né il tempo, per dimenticarci del futuro. Quello che accade oggi è già il futuro e ciò che sarà domani dipende dalle risposte che sapremo dare.

Infrastrutture, cultura e innovazione sono investimenti essenziali ma devono essere chiare le nuove opportunità che vogliamo creare. Per fare questo dobbiamo dimenticarci prima di tutto dei contrasti che abbiamo visto tra lo Stato e le autonomie locali, -questo è un punto su cui dobbiamo riflettere- la crisi che abbiamo davanti non aspetta nessuno. Tantomeno i tempi dello scontro istituzionale e quello che il Paese non può permettersi è l’incertezza nelle decisioni. La scelta di andare avanti e ripensare il modello di industria, commercio e turismo che vogliamo avere nel futuro è necessaria. 

Per prima cosa va capito che il modello di sviluppo, in particolare per settori come il commercio  l’artigianato ed il turismo, passa per il modo di intendere la crescita dell’immagine, della credibilità e del decoro di tutte le nostre città e dei nostri borghi. Poi dobbiamo ricordare che le varie zone del Paese devono essere tra loro collegate, con infrastrutture sicure e garantite. Non possiamo più permetterci di avere territori scollegati dal resto del Paese, soggetti al rischio idrogeologico, minacciati da problemi stagionali noti, oppure poco sicuri anche per chi li visita. Tutto questo però non si costruisce in poco tempo ed ha bisogno di politiche di ampio respiro, che sappiano accompagnare il processo di conversione a cui sono chiamati i vari settori della nostra economia.  Un esempio di questo è il Turismo, che da servizio dovrà trasformarsi in vera e propria industria nel Paese che vanta il numero più alto al mondo di siti tutelati dall’Unesco. Per fare questo, servono strategie e incentivi ed una vera e propria “cultura della promozione” del Turismo Interno e di Prossimità regionale, che ha bisogno di un giusto sostegno e di una visione chiara.

Le istituzioni hanno mutato il loro compito negli ultimi mesi, dovendosi occupare principalmente dell’emergenza sanitaria e dell’erogazione dei necessari sussidi per fare in modo che la vita prosegua. Tra breve entreremo nella fase più dura, in cui le conseguenze economiche del Covid-19 si scaricheranno sui cittadini con violenza. Uno dei temi fondamentali è decidere, in maniera condivisa e strategica, come allocare le risorse del Recovery Fund. Tante cose sono cambiate nella mobilità delle persone, delle merci, dei servizi, dei capitali e delle idee. Va attuata una strategia di interventi che vada a stabilire le priorità che portino lavoro, sviluppo e benessere per tutto il Paese. La crisi è certamente fonte di difficoltà, ma non deve trovarci impreparati e senza un’idea su cosa fare. Dobbiamo guardare alla qualità delle scelte per far tornare a crescere ogni singolo Comune, provincia o regione.

Tutto riparte dagli investimenti sui nostri tanti e diversi territori, ciascuno con le sue unicità, con panorami e opere invidiate dal mondo intero. Mettere in rete imprese e territori, con la creazione di infrastrutture moderne e funzionanti, ridurre il gap che colpevolmente si è lasciato crescere tra le strutture pubbliche presenti al sud e quelle del nord. Far crescere il Paese, collegandolo grazie alla creazione della sempre più necessaria banda larga, richiesta ormai in un mondo che cambia giorno dopo giorno ed affronta le sfide di una realtà lavorativa che si sta modificando nelle forme e nei contenuti. Senza dimenticare poi l’urgenza di ripensare tutto il sistema dell’istruzione, che deve essere modernizzato e ripensato. Il lavoro di oggi va avanti e le competenze dei nostri ragazzi non possono restare indietro.  

Abbiamo l’opportunità di creare qualcosa di duraturo con i Fondi in arrivo dall’Europa, creando un sistema di investimenti pubblici che sappia far ripartire l’offerta, senza fare interventi che abbiano il corto respiro della vita di un governo. Dopo aver visto un progressivo e costante deperimento dell’immagine dell’Unione europea, che da baluardo dei diritti e della pace è diventata per qualcuno la ragione di tutti i mali e facile schermo dietro il quale le politiche nazionali spesso si riparano, vediamo oggi nell’Europa un importante presidio per i diritti di ciascuno di noi e un riferimento per superare questo drammatico momento. Oggi riscopriamo che la cultura comune che oltre 60 anni fa ha messo insieme vari Paesi è fatta di condivisione delle responsabilità e anche aiuto reciproco. Tra le cause che hanno portato l’Europa alla situazione di crisi attuale c’è la poca conoscenza che i suoi 500 milioni di cittadini hanno di ciò che per loro l’Unione fa o, ancora meglio, potrebbe fare se gli Stati membri tornassero a credere fermamente nelle idee di integrazione e solidarietà.

Come in ogni convivenza, anche l’Unione europea è composta da interessi diversi, ma che in fondo portano tutti al comune obiettivo che per l’Europa è un vanto, ossia avere il migliore sistema di welfare del pianeta. È proprio da questa esigenza condivisa di garantire il maggiore benessere ai cittadini europei che parte il piano d’aiuti senza precedenti che oggi conosciamo come Next Generation EU. Su questo le tante diverse culture e sensibilità democratiche degli Stati europei devono trovare un punto di necessaria convergenza e farsi motore di quel cambio di paradigma a lungo discusso nelle economie e nelle società nazionali, per non fare di questa crisi un elemento che entra dirompente nella vita delle persone distruggendola e facendo nascere solo disgregazione e frammentazione, ancora una volta, anche dell’Unione europea. La creazione di valore in questo nuovo mondo, di cui intravediamo ancora solo i contorni, passa soprattutto dalla vittoria di una sfida che vede l’Europa  come protagonista. Le imprese sono legate indissolubilmente ai loro territori e l’Europa deve essere un unico grande territorio delle opportunità e di uno sviluppo che finalmente diventa sostenibile e va a scongiurare i pericoli che in modo terribile si sono resi concreti in questa nostra epoca.

Un’Europa a misura di persona, che sappia affrontare in modo unito e davvero condiviso le sfide ancora poco chiare che questa crisi ci pone di fronte. Questo si può fare con un welfare unico, grazie a risorse comuni e scelte strategiche. Il Covid-19 non è stato solo un problema: ha portato alla luce alcuni dei nodi politici irrisolti di questa Unione di Governi più che di Stati, di diplomazie più che di persone. Abbiamo bisogno, ora, di un cambio di paradigma di una visione che guardi da qui ai prossimi 20 anni, per creare una nuova realtà che deve partire da una visione del mondo rinnovata, per filosofia di attività politica e per capacità strategica di gestione dei territori. In una fase di incertezza deve esserci un forte legame di fiducia fra Stato e cittadini e fra lo Stato e le autonomie locali. Dunque la politica deve ripartire dai territori, punto di snodo delle esigenze dei cittadini e delle imprese, che vivono il quotidiano e meritano amministrazioni locali che siano all’altezza del loro compito. 

Il tempo che viviamo, nella sua gravissima drammaticità, ci dà l’occasione di riflettere sugli errori fatti fino a questo momento e sulle tante occasioni mancate. Penso a Roma, a quanto la Capitale d’Italia può in questo momento dare e rappresentare per tutto il Paese e quanto in questi anni invece è stata tenuta ai margini. Deve essere chiaro a tutti che un corpo riparte se la sua testa funziona bene. Roma tra meno di un anno ha l’occasione di tornare a ragionare e ad essere perno propulsore per un Paese che ha da sempre tutte le risorse umane, morali e culturali per tornare a correre. È necessario per il Paese intero, progettare un rilancio della capitale che miri a farla tornare ad essere il punto di riferimento come lo è sempre stato.

Serve un progetto che guardi al futuro della città, che sappia immaginarla e realizzarla a partire dalle necessità e dalle volontà dei cittadini, del mondo associativo e delle imprese. Chi amministra non dovrebbe solo chiedersi come si risolve un problema specifico ma intervenire sulla sua origine, per far sì che non si ripresenti. Per farlo, c’è bisogno di progettualità competenza che purtroppo da anni mancano a questa città.  L’emergenza Covid-19 ci ha spinto a sentirci più uniti come Paese perché abbiamo avuto la prova di quello che noi diciamo da tempo: nessuno si salva da solo. È questa cultura democratica e riformista che può guidare la rinascita del nostro Paese, partendo da Roma. Occorre una visione strategica per il futuro, un futuro che oggi appare incerto ma che non è mai stato così ricco di promesse di opportunità, di innovazione di possibilità e di rinnovamento. Il viaggio più difficile è quello che inizia ora e ci porta nel domani. De Gasperi diceva che Politica vuol dire realizzare,  È il momento di scegliere se restare nell’eterna ripetizione di oggi o capire cosa fare del domani, iniziando a dare una nuova forma al presente per scrivere il futuro.