Il nostro direttore risponde alla nota di Ettore Bonalberti pubblicata stamane su queste pagine.

Caro Ettore,
il nostro dialogo prosegue come deve, con lealtà, senza illusionismi. Dico subito che il richiamo al “partito di centro che muove verso sinistra” – questa l’espressione usata da De Gasperi per definire la Dc – non può essere facilmente liquidabile. È un vincolo per il nostro ragionamento che presumiamo in linea con l’appartenenza a una precisa tradizione ideale e politica. Non si tratta di una formula “vecchia e stantia”, perché allora sarebbe tutta intera la nostra tradizione “vecchia e stantia” e nessuno avrebbe interesse o diritto a rivendicare un titolo di appartenenza impegnativo.

Se cancelliamo la formula degasperiana non ha più senso questo faticoso e generoso insistere sulla ripresa di una politica di centro. Di quale centro parliamo? In mancanza di un codice identificativo, qualsiasi posizione “di centro” potrebbe apparire conforme – sempre per analogia – alla esperienza democristiana. Invece così non è, altrimenti non staremmo qui a discutere, con reciproco coinvolgimento intellettuale ed emotivo, sulla necessità di riannodare i fili della memoria, superare la fase della diaspora, progettare il rilancio di alcuni valori politici e contenuti programmatici.

Al Congresso di Napoli del 1962, quando Moro riuscì nel miracolo di portare la Dc sostanzialmente unita all’incontro di governo con il Psi, gli oppositori legati a Scelba e Andreotti non proposero – nemmeno loro – di abbandonare il richiamo fatto da De Gasperi. Andreotti, per altro, fu artefice della formula quando, proprio nell’immediato dopoguerra, De Gasperi gli chiese di scrivere la risposta a Togliatti sul presunto conservatorismo della Dc. Dunque, nel suo intervento a Napoli l’andreottiano Pietro Lucisano (produttore cinematografico) disse: “La Dc non può piegare la sua bandiera di partito di centro, sia pure rivolto a sinistra”.

Era una posizione debole, avendo come obiettivo un governo dc in piena autonomia, senza alleanze; debole come lo è la posizione odierna, che pone la fiducia in questo medesimo sogno di sovrana autonomia, sebbene oggi s’ammanti addirittura della pretesa di fare del nuovo partito di centro un aggregato che prescinda dal connotato (“sia pure rivolto a sinistra”) che il moderato e anticomunista Lucisano intendeva comunque rispettare.

Non vedo, insomma, la congruenza di un appello al popolarismo quando le basi del popolarismo vengano divelte. Un generico stare al centro, questo sì appare essere “vecchio e stantio”: non ti ricorda il giolittismo, ovvero l’impasto di tatticismo e spregiudicatezza nella gestione del potere, tanto odiato dal nostro Sturzo?

Attenzione, volendo ancora scomodare l’autorità di De Gasperi, a lui si deve l’osservazione circa il fatto che tutti i partiti si definiscono e sono grosso modo “di centro”; sicché il centro di matrice democratico cristiana, ispirato ai valori del solidarismo e della giustizia sociale, non poteva (e non può) dissolversi in un centrismo informe, inabile di fronte all’istanza di democrazia come “elevazione degli umili”, immemore delle ragioni che la libertas popolare implica e sollecita, tanto da stabilire l’urgenza di “muovere verso sinistra”.

Dove sta l’alternativa? Certo, apprezzo il ditirambo che accompagna l’auspicato ritorno al proporzionale e capisco pure che, nel caso, la libertà dall’incombenza di fare alleanze diventi l’ingenuo presupposto dell’azione politica di centro. E dopo, una volta fatte le elezioni, che succede? Si sceglie anche noi di rendere interscambiabili Zingaretti e Salvini? Di fare cioè come i grillini, omologandoci all’opportunismo di questo nostro tempo politico?

Ecco, sono domande che non possono essere accantonate alla bell’e meglio, rifuggendo dall’obbligo di un’autocritica profonda per essere – chi più progressista e chi più moderato – autentici e sinceri protagonisti di una nuova politica di “centro a sinistra”, l’unica conforme alla tradizione del cattolicesimo democratico e popolare.

P.S. Mi dispiace che sia stato distorto il mio garbato dissenso da Zamagni. Ribadisco la stima che nutro nei suoi riguardi. È però inutile o sbagliato mettere in guardia, come mi sono permesso di fare, affinché si eviti anche nelle polemiche più giustificabili lo “sconfinamento nell’improvvisazione”? Solo Rete Bianca ha dato indicazione di voto per Bonaccini, tanto che rivendica, senza pentimenti, la validità di quella scelta. Era meglio, d’altronde, che vincesse la Borgonzoni, dando aggio a Salvini di chiedere a ragion veduta la crisi di governo e ottenere con ogni probabilità il ricorso alle elezioni anticipate? Forse, dinanzi al pericolo rappresentato dal sovranismo salviniano, dovremmo essere più compatti e soprattutto più fedeli a una consegna di rigore e di coerenza.